9 gennaio 2023 ore: 14:28
Giustizia

Giustizia: “Se una volta ho sbagliato”, in un podcast le voci dei giovani che hanno commesso un reato

di Antonella Patete
Da oltre 25 anni, vicino Cagliari, la Comunità La Collina di don Ettore Cannavera offre una seconda possibilità ai giovani che usufruiscono delle misure alternative. Il sacerdote: “Il carcere è scuola di delinquenza”

ROMA – Sui colli che circondano Cagliari, tra ulivi, viti e alberi da frutto, in località Serdiana, da oltre 25 anni la Comunità La Collina accoglie ragazzi e giovani adulti che hanno commesso un reato. Un’esperienza nata per volontà di Don Ettore Cannavera, un sacerdote che non pensa al Vangelo come dottrina astratta, ma come pratica da esercitare ogni giorno nella vicinanza alle persone più fragili. Agli ospiti della Comunità e al lavoro di questo sacerdote, che non ha mai creduto nel carcere come risposta ai giovani che hanno violato la legge, è ora dedicato il podcast “Se una volta ho sbagliato – Storie dalla Collina”, ideato e curato da Giulia Clarkson, con il supporto tecnico e le musiche di Ylenia Lampis, in collaborazione con Radio X e Cagliari Social Radio.

 

In 11 diversi episodi disponibili sul sito della Comunità e sulle diverse piattaforma, il podcast dà voce all’esperienza di chi ha commesso un reato, ma anche di educatrici e volontari, avviando una riflessione sulla responsabilità e sulla colpa, ma anche sulle carenze di un sistema carcerario totalmente incapace di assolvere alla funzione rieducativa. In particolare, presso la Comunità La Collina vengono accolti giovani adulti di età tra i 18 e i 25 anni, che possono usufruire di misure sostitutive o alternative alla detenzione e debbano completare un programma rieducativo e riabilitativo già avviato presso gli istituti di pena o altre comunità per minori.

 

“La gente non vuole la Comunità La Collina, vuole la galera”, dice don Ettore Cannavera nell’ultimo episodio del podcast.  “Non è il carcere la soluzione, devianti non si nasce, ma si diventa”, dice il sacerdote che ha fatto per oltre 30 anni il cappellano nell’istituto penale per i minorenni di Qartuccio (Cagliari), nato negli anni Settanta come carcere di massima sicurezza. “I ragazzi finivano di espiare la pena, passavano duo tre mesi fuori e poi rientravano – racconta –. Ce n’è uno che è tornato dopo tre ore, me lo ricordo benissimo. Poi è morto per overdose”. Da allora don Ettore ha cominciato a interrogarsi sulle ragioni per si intraprende un percorso di devianza. “Questi ragazzi di cui mi occupo sono quelli che non hanno avuto la possibilità di sperimentare l’affettività e la relazione, si contrappongono all’altro, non hanno ancora capito che dell’altro abbiamo bisogno per essere”. Nella Comunità trovano, invece, la relazione, l’affetto e la considerazione di cui tutti hanno necessità. Ci sono anche persone che arrivano per reati gravi come il traffico di droga, il sequestro di persona, l’omicidio, “ma il bisogno fondamentale resta sempre la relazione”, puntualizza don Ettore. “Il carcere tende alla rieducazione? Macché. Il 70% torna dentro. E allora cosa aspettate a chiudere? Bisognerebbe almeno cominciare a eliminare minorile, rimandando l’ingresso in carcere a 18 anni, non a 14. Il carcere è scuola di delinquenza, nonostante la buona volontà del direttore, degli educatori, degli psicologi, delle guardie, della polizia. La permanenza in carcere è falsità. La comunità è l’alternativa”. Tante le storie presentate nel podcast, tra tragedie familiari, autolesionismo, botte, droghe e terapie farmacologiche à gogo, prima dell’incontro con la Comunità, dove al centro c’è, appunto, la relazione, il tentativo di fare i conti con il passato e l’attenzione per il futuro.

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