13 settembre 2018 ore: 10:14
Immigrazione

Gli "eroi anonimi" di Zarzis: un film sui pescatori tunisini in carcere ad Agrigento

“Strange fish”, documentario che racconta il consorzio di pescatori di Zarzis accusati dalla magistratura. Bertoluzzi (regista): “Per anni la polizia gli ha detto di lasciare i migranti in mare minacciandoli, loro si rifiutano”. Il caso giudiziario: rimpatriati i 14 testimoni che li scagionano
Strange fish foto 1
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MILANO - Ora sono in carcere ad Agrigento. Sabato 15 settembre, alle ore 14, i loro volti e le loro voci saranno invece protagonisti di “Visioni dal mondo, immagini - dalla realtà”, quarta edizione del Festival internazionale del documentario, in una proiezione in programma al Teatro dell'Arte alla Triennale di Milano. Si chiamano Chamseddine, Salem, Farhat, Lofti e Ammar. Sono alcuni gli “eroi anonimi” dell'Associazione pescatori di Zarzis, sud della Tunisia, che la documentarista e giornalista italiana Giulia Bertoluzzi ha immortalato nel suo documentario “Strange fish”. “Come ci si sente a vedere un corpo fluttuare nel mare come uno strano pesce?” recita la didascalia che accompagna la presentazione del girato. Un titolo che Bertoluzzi ha scelto perché rimanda allo “Strange fruit” della canzone di Billie Holiday dove “si parla del razzismo e delle impiccagioni dei neri nel sud degli Stati Uniti. L'artista diceva che 'dagli alberi ondeggiano questi strani frutti', non solo per denunciare l'atto in sé ma l'indifferenza al riguardo, verso le 'non persone' appese ai rami. È quello che accade oggi nel Mediterraneo”.

Chi sono gli “eroi anonimi” di “Strange fish”, che da anni soccorrono i migranti in mare e danno una degna sepoltura ai corpi delle vittime dentro a un cimitero dei “senza nome” fra le sabbie e le dune della città costiera tunisina, che Giulia Bertoluzzi ha raccontato nei suoi reportage? Sono gli iscritti a un consorzio, un piccolo sindacato se confrontato con il gigante dell'Ugtt (il sindacato di tutti i dipendenti in Tunisia), cresciuto in maniera informale sotto il regime di Ben Ali e, dopo la rivoluzione del 2011, giunto a diventare un interlocutore del ministero dell'agricoltura e della pesca in patria. Lavora su più fronti: i diritti dei lavoratori “in un settore, quello dei piccoli pescherecci – spiega la documentarista – che rimane tutt'oggi molto informale in quanto a ore di lavoro, paghe e tutele”. L'associazione pescatori di Zarzis si occupa di “inserimento dei giovani, corsi di formazione per meccanici o sulla pesca subacquea”. Tutela ambientale e del patrimonio ittico. Come spiega Bertoluzzi “loro denunciano la penuria di pesce nel Mediterraneo. La pesca industriale, nonostante le quote, continua a essere invasiva”.

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Negli anni è cambiata anche la geografia economica in mare: “Alcune aree molto ricche, come quella di fronte alla Libia per il passaggio del tonno rosso, attiravano i pescatori egiziani, libici, tunisini e siciliani”. “Dal 2011 – aggiunge la regista – quelle acque sono diventate un far west: le milizie hanno preso posizione; c'è lo storico contenzioso di Sirte che risale ai tempi di Gheddafi e riguarda rivendicazioni libiche sulle acque economiche esclusive”. Con i miliziani non è stata solo guerra del pesce. “Hanno in più occasioni sequestrato le barche dei pescatori per poi riutilizzarle nei traffici delle migrazioni, rubando il materiale tecnico a bordo come reti e radio, per poi chiedere un riscatto alla Tunisia che nella maggioranza dei casi lo concede”. Il clima rovente ha fatto sì “che i pescatori si siano spostati verso ovest, a Lampedusa, e tanti cercano di stare più vicini alla costa. Saranno sempre sulla rotta migratoria”.

Proprio i migranti sono stati il terzo e ultimo focus su cui il consorzio di Zarzis ha lavorato in questi anni. Tutto il sud della Tunisia è sottosviluppato a livello economico con tassi cronici di disoccupazione giovanile superiori al 50 per cento. Nel 2011 erano i giovani della nazione del Maghreb ad arrivare sulle coste europee. Un flusso che, con numeri minori ma significativi, si è riattivato nell'ultimo anno e mezzo. “Il regime di Ben Ali lavorava a stretto contatto con Italia e Unione Europea per i controlli alla frontiera: sotto la dittatura c'era una legge contro la migrazione clandestina che prevedeva pene pesanti sia per i migranti in sé che per i favoreggiatori. I pescatori riferiscono che la polizia li teneva d'occhio. Le parole testuali sono 'la polizia ci diceva di lasciarli in mare e non portarli a terra' con la minaccia di multe o arresti. Loro non lo hanno mai fatto: hanno seguito la legge del mare”. Non solo. Per la regista che da anni segue le vicende del consorzio “quando nel 2011, ci sono state 20mila partenze dalla Tunisia si sono sviluppati business e commerci al riguardo. I pescatori che avevano debiti vendevano le imbarcazioni per ripianarli mentre nella città c'erano dei capoccia che gestivano il commercio delle migrazioni”. Racconta: “Bourassine (il presidente del consorzio oggi in carcere ad Agrigento NdR) e altri hanno iniziato a sensibilizzare i pescatori a non vendere le barche e questa è stata una delle ragioni fondanti per creare ufficialmente l'associazione”. Il legame fra trafficanti di uomini e pescatori è citato a più riprese, ma con numerosi interrogativi, anche dalle missioni militari europee. Scrive Eunavfor Med – operazione “Sophia” (il dispositivo militare Ue con il compito di smantellare network e  modello di business dei trafficanti di uomini in Libia) nel suo primo report semestrale del 2015 che: “Secondo fonti d'intelligence, le barche in legno sono acquistate dai pescatori libici o importate da Tunisia e Egitto. La missione sta monitorando le capacità di approvvigionamento attraverso questo canale, ma nessuna scoperta è stata fatta per poterlo confermare oltre ogni ragionevole dubbio”.

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Oggi il consorzio di Zarzis ha 1000 membri iscritti. Sono diventati un interlocutore anche per la cooperazione italiana ed euro-mediterranea: “C'è il progetto 'Ciheam' a cui collaborano (gestito dall'Istituto di agronomia del Mediterraneo di Bari e che lavora sulla “Qualità dei prodotti agroalimentari nel Mediterraneo, NdR), altri sul commercio di vongole con l'Italia – spiega Giulia Bertoluzzi – e nell'ambito del 'Nemo Tunisia' alla realizzazione di un 'porto blu' per la pesca delle sardine”.

Oggi sono sotto inchiesta della magistratura. Per la procura di Agrigento che li indaga, i sei pescatori di Zarzis hanno deliberatamente posto in essere atti finalizzati ad assicurare l'ingresso illegale di 14 migranti nel territorio italiano lo scorso 29 agosto, mettendone a repentaglio la vita, attraverso un'operazione di traino di un fatiscente barchino attuata sin dalle coste africane. Nella ricostruzione della Procura si legge che alle 14:10 di quel giorno un assetto aereo di Frontex – l'agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere – ha avvistato 84 miglia a sud di Lampedusa un natante con 10-15 persone a bordo al traino di un peschereccio recante nominativo arabo diretto verso nord alla velocità di 7 nodi. Alle 18:30 il motopesca e il barchino risultano fermi e separati per circa due ore. Non viene chiarito se il motopesca sia lo stesso avvistato ore prima. Alle 20:15 di nuovo collegati con cima e rimorchio e diretti verso l'Italia. Il giudice delle indagini preliminari di Agrigento, Stefano Zammuto, che ne ha disposto la custodia in carcere, ha creduto in toto alla versione degli inquirenti, anche se le testimonianze raccolte dalla polizia giudiziaria che ha ascoltato i migranti raccontano altro. Nell'ordinanza si legge che “in cinque, tra quelli trasportati e identificati, hanno detto di essere partiti da Zarzis per raggiungere l'Italia, di aver pagato una somma di denaro (diversa ciascuno) per poter effettuare la traversata e di essere stati affiancati dal peschereccio, poi sequestrato, e di aver ricevuto acqua, latte e cibo”. In un video dell'operazione di polizia rilasciato dalla stessa Frontex su Twitter si vede una ripresa degli accusati che recuperano le reti dal mare. “Il Gip ha creduto al 50 per cento alle dichiarazioni rese dai migranti” spiega l'avvocato Salvatore Cusumano che ha preso le difese del comandante Chamseddine Bourassine e che, il 12 settembre, ha presentato richiesta di Riesame. Esclusi i minori presenti a bordo, i 14 migranti e testimoni “sono stati rimpatriati e sentiti tutti a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria” prosegue Cusumano. Hanno tuttavia confermato la loro versione ai microfoni di Rsi (Radio televisione svizzera) che li ha raggiunti in Tunisia. Uno di loro, un 24enne di Zarzis ha dichiarato: “Siamo andati avanti fino a quando il motore è andato in panne. Siamo rimasti lì per molto tempo e alla fine abbiamo visto passare una barca di pescatori a cui abbiamo segnalato la nostra posizione. Ci hanno chiesto se volessimo chiamare le autorità tunisine e abbiamo detto di no, non saremmo mai tornati indietro. Abbiamo chiesto ai pescatori di chiamare le autorità italiane. Ci hanno dato acqua e pane e ci hanno detto di rimanere dove eravamo. Loro si sarebbero mesi in contatto con gli italiani in modo che sarebbero venuti a prenderci”. La ricostruzione del giovane prosegue dicendo che i pescatori e Chamseddine sono tornati indietro dopo diverso tempo dicendo che “non erano riusciti a rintracciare le autorità italiane e visto che rimanere là era pericoloso ci ha trainato avanti verso Lampedusa dove il mare era più tranquillo. Se non ci fosse stato lui, saremmo morti”.

“L'unica pecca del comandante – dice il suo legale – è di non aver contatto le autorità italiane. Lui sostiene di averci provato e aver avuto problemi tecnici, ma agli atti non c'è prova di contatti telefonici”. L'accesso ai tabulati sarà fatto, con ogni probabilità, solo se si dovesse andare a processo. “Da parte dell'associazione dei pescatori di Zarzis – chiude Giulia Bertoluzzi – direi che c'è indignazione oltre all'incredulità verso un'accusa che per loro è infondata. Fra famigliari c'è shock. Il Paese per la prima volta ha preso una posizione e ha chiesto formalmente il rilascio.” (Francesco Floris)

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