Grecia, Oim: “Situazione gravissima, Ue intervenga con soluzioni sostenibili”
ROMA – Le immagini che arrivano ancora oggi da Idomeni, dal confine tra Grecia e Macedonia, raccontano una situazione ormai fuori controllo nell’Est Europa: con oltre 10mila persone bloccate in attesa di poter passare la frontiera. Una vera crisi umanitaria secondo le Nazioni Unite a cui l’Europa dovrà rispondere nel più breve tempo possibile. Quello che serve è soprattutto “una politica migratoria comune”, con “soluzioni realmente sostenibili”. A sottolinearlo è Federico Soda, direttore dell’ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim). “Il problema è che stiamo tutti cercando una soluzione rapida per fermare i flussi e tornare alla situazione che c’era prima. Ma l’immigrazione non è un tema unilaterale. Non è un problema, si tratta piuttosto di flussi da gestire”, spiega in questa intervista.
Le Nazioni unite hanno lanciato l’allarme di una crisi umanitaria in Grecia, dopo la situazione che si è creata al confine con la Macedonia. L’Unione europea ha previsto uno stanziamento di oltre 700 milioni, che servirà a sostenere lo sforzo nei paesi particolarmente coinvolti dagli arrivi di migranti. Secondo lei è sufficiente questa soluzione o servono altri interventi nell’immediato?
La situazione è gravissima e tristissima. Le immagini che vediamo quotidianamente delle persone con le mani che sanguinano, tagliate dal filo spinato al confine con la Macedonia o con altri paesi dell’Unione, dovrebbero shockare e fare paura a tutti. Avevamo sperato che fossero ormai passati gli anni del filo spinato, eppure oggi li vediamo di nuovo. I fondi previsti dall’Europa sono fondamentali, soprattutto per la Grecia che è sotto una pressione incredibile, sotto tanti punti di vista. Però va detto che quello che abbiamo davanti non è un problema che possiamo risolvere. Si tratta piuttosto di flussi da gestire: ci sono dodicimila persone in Grecia che si sposteranno ulteriormente. Ci vuole, quindi, una politica migratoria comune in Europa per cercare di trovare delle soluzioni più sostenibili. Quello che preoccupa, in questo momento, è la crisi in Siria, che va avanti ormai da sei anni. E’ una guerra che sta peggiorando, non c’è alcun miglioramento. Questo è uno shock dal punto di vista migratorio. È questo che crea l’emergenza, un’emergenza che è senza dubbio umanitaria. Il problema è che stiamo tutti cercando una soluzione rapida per fermare i flussi e tornare alla situazione che c’era prima. Quello che bisogna fare, invece, è cercare di lavorare su più fronti: con i paesi di provenienza, e nel medio e lungo termine, trovare dei modi non solo per avere dei canali regolari ma anche per fare in modo che la migrazione sia una vera scelta e non l’unica possibilità.
Un’agenda europea sull’immigrazione esiste già, ma quanto era stato previsto oggi è ampiamente disatteso: le relocation, di fatto, non sono veramente partite, i paesi hanno ripristinato i controlli alle frontiere
Alcuni paesi molto importanti, che sarebbero stati disposti ad accogliere un numero alto di rifugiati si sono trovati in una situazioni complicata, perché sono arrivate direttamente da loro molte persone in maniera irregolare e quindi sulle quote si sono tirati indietro dei paesi chiave..C’è stato poi l’attentato a Parigi che non ha aiutato da un punto di vista politico: ha avuto un impatto diretto e negativo rispetto all’approccio di solidarietà e di condivisione. La Francia, nello specifico, non si è tirata indietro ma il programma va comunque avanti più lentamente. Quelli che riusciamo a spostare con i programmi di relocation sono piccoli gruppi che partono di continuo. Dobbiamo ricordarci, però, che fin dal principio si trattava di un programma ambizioso e complicato, nonché nuovo per tutti. Le aspettative erano stratosferiche quando è stato lanciato: penso che sarebbe stato impossibile raggiungerle anche in una situazione ideale. Per il momento sta andando solo più lentamente.Sicuramente da parte dell’Italia e della Grecia c’è una volontà forte di mettere in atto questo programma.
L’agenda europea ha imposto all’Italia l’apertura degli hotspot. Diverse associazioni, per esempio quelle che fanno parte del Tavolo asilo, hanno denunciato gravi violazioni dei diritti all’interno di questi centri. Voi, come Oim, state monitorando la situazione, che bilancio ne date?
Negli hotspot ci sono delle difficoltà ma non sono sistematiche. L’Italia sta facendo tutto quello che può per tutelare i diritti dei migranti. La situazione è complicata, ci sono molti attori all’interno, sia italiani che non, e stiamo ancora cercando di chiarire le procedure operative. Lo sforzo che si sta facendo per concludere queste procedure è importante, riguarda tutti gli attori coinvolti e ha come capofila il governo. Dal momento che questa non è una prassi stabilita, spero che in futuro si eviteranno questo tipo di problemi.
In Italia è stato lanciato da poco un tentativo di corridoi umanitari, per dimostrare che un modo sicuro per arrivare in Italia e in Europa è possibile. A farlo sono state le associazioni religiose, Sant’Egidio, Tavola valdese e Federazione delle Chiese evangeliche. Come giudica questo progetto? Pensa che sia replicabile?
Qualsiasi modo di proteggere la gente in pericolo va esplorato e messo in atto. Quindi lo giudichiamo bene, benissimo. Sant’Egidio si sta focalizzando moltissimo sulle persone estremamente vulnerabili anche dal punto di vista della salute. Non si può mettere in dubbio l’importanza di questo intervento. Dal Santo Padre il messaggio è stato sempre molto chiaro sulle nostre responsabilità, penso che Sant’Egidio in questo momento stia seguendo la via indicata dalla Santa Sede. L’aspetto che trovo particolarmente interessante di questo programma è quello della sponsorship: un modello che esiste in altri paesi, dove le famiglie, le comunità, le associazioni, sponsorizzano e si prendono in carico l’accoglienza dei rifugiati. Sant’Egidio ha assunto questo ruolo, e credo che da questo punto di vista sia assolutamente replicabile. Anzi, andrebbe inserito nel più vasto programma di resettlement del governo. (ec)