I giovani musulmani: “Vogliamo aprirci alla città per superare pregiudizi e paure”
RIMINI - Si chiamano Halima, Michele, Khairiyyah, Omaima, Chady, Rim, Habib, Tarik, Mohamed, Reda e Yassin. Hanno tra i 17 e i 26 anni, studiano, lavorano e hanno in comune la fede nell’Islam. Sono i giovani musulmani che, una volta alla settimana, si incontrano insieme ad altri ragazzi al Centro Giovani “RM25”. Yassin, marocchino, è stato il primo studente straniero di Chimica industriale del Campus di Rimini. È lui, insieme ad altri ragazzi, ad avere l’intuizione di creare a Rimini una sezione Giovani musulmani italiani dell’associazione nata a Milano da musulmani di seconda generazione e ha iniziato a cercare contatti tramite la creazione di un gruppo Facebook. Mohamed, che ha 23 anni, con Omaima e Khairiyyah ha dato vita ufficialmente all’associazione e ne è diventato presidente. “Nei nostri incontri approfondiamo lo studio del Corano e i principi dell’Islam, preghiamo insieme, siamo un gruppo di amici. I nostri valori fondamentali sono famiglia, fede ed educazione”, racconta Mohamed. Ma non solo. “In questo anno e mezzo di attività abbiamo cercato di farci conoscere, aprirci alla città. Per questo abbiamo partecipato a eventi pubblici come il Festival Interazioni, al Mese per le famiglie, alla Giornata mondiale contro il razzismo, abbiamo organizzato una cena di solidarietà per Gaza – continua – Da qualche settimana organizziamo anche corsi di arabo con alcuni volontari. Queste sono attività per farci conoscere, ma non solo. Abbiamo capito che è necessario aprirci agli altri, per superare pregiudizi e paure. Nella provincia di Rimini ci sono 8 centri di cultura islamica: vogliamo essere di sostegno alla comunità”.
“Si parla moltissimo dei musulmani, ma mai con i musulmani” – aggiunge Omaima, dagli occhi grandi e il sorriso gentile, nata in Italia da una famiglia marocchina, ha 18 anni e frequenta l’Istituto economico turistico di Morciano. È diventata tristemente famosa lo scorso anno perché, a causa del velo, un albergo ha rifiutato di offrirle ospitalità per svolgere il tirocinio formativo previsto dalla sua scuola. “Per le ragazze che scelgono di indossare il velo trovare lavoro è ancora difficile. È una paura irrazionale, che nasce da una mancanza di conoscenza. Per questo l’anno scorso in piazza Cavour in occasione di Interazioni abbiamo lanciato una provocazione: ‘Vi sveliamo il velo’, uno stand dove provare a indossare il velo e a informarsi su questa usanza. Abbiamo ricevuto tantissime domande, lo stand ha suscitato interesse e curiosità e ci ha fatto molto piacere”.
Inevitabile affrontare con i ragazzi il tema del terrorismo, sui loro volti rabbia e senso di impotenza quando si toccano questi argomenti che li coinvolgono loro malgrado. “Passiamo la vita a doverci giustificare e dissociare – spiega, ancora, Omaima – ed è terribile. Il terrorismo non ha niente a che fare con la nostra religione. Perché devo prendere le distanze da qualcosa che è anni luce lontano da ma e dalla mia fede? Terrorismo è anche incitare al terrore come, purtroppo, molti mezzi di comunicazione stanno facendo utilizzando un linguaggio violento, infarcito di pregiudizi, che attacca l’Islam come se tutti noi musulmani fossimo responsabili delle tragedie che avvengono nel mondo. La strada da percorrere è invece, secondo noi, quella della cooperazione e della non violenza”.
Khairiyyah ha 21 anni e studia Beni Culturali a Urbino, è di origine somala e sogna un giorno di visitare il Paese in cui sua madre è nata: “Dopo la strage di Charlie Hebdo, l’associazione universitaria Slash ci ha invitati a intervenire a un dibattito all’interno dell’Università. Siamo stati molto grati all’Associazione e per noi è stata un’occasione molto importante per fare ascoltare il nostro punto di vista. Pensiamo che momenti come questi siano fondamentali. Di una cosa sono fermamente convinta: sono molto più le cose che ci accomunano, di quelle che ci dividono. Cristiani, ebrei e musulmani dovrebbero ricordarsene per camminare insieme. Io studio arte e mi vengono in mente i tanti meravigliosi mosaici del Sud Italia dove si intrecciano le tradizioni di popoli diversi (normanni, arabi, …). Come in un mosaico dobbiamo costruire qualcosa di bello insieme, non distruggerci reciprocamente guardando solo alle differenze”.
Nonostante siano cittadini italiani a tutti gli effetti c’è chi ancora pensa che questi ragazzi dovrebbero tornarsene a casa loro o, più semplicemente, si stupisce perché parlano bene l’italiano e riescono brillantemente negli studi. Se poi gli chiedi cosa pensano, ad esempio, dei cristiani non hanno nessun dubbio: “Non negheremmo mai la presenza del crocifisso nelle scuole o del presepe a Natale. Per noi la religione è un aspetto fondante della nostra vita e non ci sogneremmo mai di chiedere ad altri di rinunciarvi”. Ma ci sono anche le esperienze positive: Chady a scuola racconta di essersi sempre perfettamente integrato, si è sentito compreso e rispettato. Tarik descrive la città di Rimini come accogliente e ospitale. Ma, soprattutto, hanno tutti molta fiducia nel futuro, nelle nuove generazioni. Sono convinti che ci vorrà del tempo, ma che le cose potranno cambiare, anche grazie all’impegno dei più giovani. (Silvia Sanchini – News Rimini)