8 ottobre 2013 ore: 12:26
Immigrazione

I rifugiati e il nodo dell’accoglienza: per l'Italia potrebbe essere la svolta

A giugno l’Europa ha approvato il Sistema comune di asilo che, attraverso 4 nuovi strumenti giuridici, permetterà di uniformare gli standard di protezione. L’Asgi: “Per l’Italia si tratta di una svolta, da fare subito”
Profughi, rifugiati, volto in in primo piano (Villa Aldini)

ROMA – Il Parlamento Europeo ha approvato il 12 giugno del 2013 il Sistema europeo comune di asilo il cui obiettivo è uniformare le leggi sull’accoglienza di richiedenti asilo e protezione internazionale in tutti gli Stati membri. La riforma della normativa Ue in materia di asilo è stata caratterizzata dal tentativo di trovare un compromesso tra due interessi in difficile equilbrio tra loro: da un lato, rafforzare le garanzie dei richiedenti asilo e delle persone che hanno diritto alla protezione internazionale; dall'altro prevenire l'abuso del diritto di asilo da parte di migranti non legalmente autorizzati ad entrare e risiedere nei territori dell'Ue. 

Le nuove regole sono tese ad assicurare che i richiedenti asilo non debbano migrare da uno Stato membro a un altro in cerca di condizioni più favorevoli o di procedure più veloci perché le loro richieste siano considerate e accolte. La legislazione vigente a livello europeo, infatti, non prevedeva una scadenza precisa entro la quale le richieste di asilo dovessero essere trattate. Con le nuove misure ogni Stato membro dovrà trattare le pratiche in un lasso di tempo di sei mesi, anche se sono previste eccezioni.

Fra gli altri problemi affrontati con la nuova legislazione, c’è quello della detenzione dei richiedenti asilo - da prevedere solo in circostanze eccezionali e in strutture apposite diverse dai centri di espulsione - e una maggiore tutela dei minori non accompagnati. Prevista anche la necessità di maggiore formazione di coloro che lavorano nel campo delle richieste d’asilo (assistenti sociali, forze di polizia).

In sostanza, il Sistema europeo di asilo è la risultante del recepimento di 4 nuovi strumenti giuridici: le direttive “qualifiche”, “accoglienza”, “procedure” e regolamento di Dublino III. Sono 4 cambiamenti inseriti nel programma quinquennale di Stoccolma che ha tra i suoi obiettivi l'adozione  di un'unica procedura d'asilo in tutti i paesi europei e il raggiungimento di elevati standard uniformi di tutela per i titolari di protezione internazionale . Ma, secondo l’Asgi – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – non si tratta di cambiamenti incisivi, capaci di migliorare effettivamente le condizioni dei rifugiati in Ue. “Ci sono solo dei miglioramenti nei testi delle direttive – spiega Gianfranco Schiavone  del direttivo nazionale Asgi - , c’è un aumento dell’armonizzazione europea, ma nella sostanza il percorso è estremamente modesto e l'obiettivo del sistema unico europeo rimane lontanissimo ”. Le nuove direttive non riportano più la dicitura norme minime, ma semplicemente norme. Ciò significa superamento del livello minimo, ma a giudizio dell’Asgi si tratta di poco più che un escamotage linguistico che però non cambia la realtà. Le nuove direttive si dividono, come le precedenti, tra disposizioni precise e vincolanti la cui applicazione nell'ordinamento interno degli Stati non è soggetta a modifiche e disposizioni che lasciano la libertà agli Stati di applicarle o meno; queste ultime sono ancora molto numerose. Da queste disposizioni, ad arrivare a una procedura unica di asilo in Europa la strada è ancora estremamente lunga. Perciò il giudizio dell’Asgi non può essere positivo. “Certo è stato superato uno stallo politico, ma si tratta in ultima analisi di un compromesso”, commenta Schiavone. Vediamo in dettaglio cosa prevedono le direttive e cosa potrà fare l’Italia per recepirle.

Direttiva “qualifiche”. La direttiva “qualifiche” (che definisce la condizione del rifugiato e quella del titolare di protezione sussidiaria) dovrà essere recepita entro dicembre. L'obiettivo primario della direttiva “qualifiche” è quello di avvicinare le due tipologie di protezione, eliminando o grandemente limitando la possibilità per gli Stati di differenziare i trattamenti riservati ai titolari dei due status per ciò che riguarda l’accesso ai diritti sociali, come il lavoro, la casa, e i servizi. Sotto questo profilo l'Italia non avrà significative modifiche da apportare alla sua legislazione perchè le norme attuali sono già mediamente più favorevoli del livello minimo previsto nella direttiva. Il punto cruciale di questa direttiva, su cui l’Italia può fare invece molto perché è il terreno sul quale è estremamente indietro, è l'integrazione sociale dei rifugiati e dei titolari di protezione sussidiaria. L'articolo 34 della direttiva vincola infatti gli Stati a prevedere programmi di integrazione specifici che non si limitino ad equiparare i rifugiati ai cittadini europei nell'accesso all'assistenza sociale ma che permettano di dare ai rifugiati un supporto specifico iniziale, subito dopo il riconoscimento giuridico, per poterli mettere effettivamente in grado di ricostruirsi una nuova vita nel paese di asilo. In Italia, il rifugiato che ha appena ottenuto lo status, non ha niente. Non ha casa, non ha lavoro, e non ha neppure un diritto all’accoglienza.  Lo Sprar - il sistema di accoglienza dei comuni che attualmente conta 7 mila posti, che diventeranno 16 mila nel 2014 – non garantisce infatti un posto di accoglienza a tutti i rifugiati, ma solo ad una parte di essi (secondo uno studio condotto da ASGI nel 2010 per conto della Commissione europea oltre la metà dei rifugiati, dubito dopo il riconoscimento giuridico, uscendo dai centri di prima accoglienza per richiedenti asilo, si trova in strada). Questo è il paradosso del sistema italiano. Il rifugiato viene riconosciuto come tale, ma poi viene abbandonato a se stesso. Secondo l’Asgi, l’Italia dovrebbe arrivare non solo ad aumentare i posti di accoglienza per i richiedenti (posti oggi ancora insufficienti), ma a prevedere il diritto del rifugiato ad accedere a un programma di seconda accoglienza della durata media di un anno che permetta ai rifugiati di apprendere l'italiano, orientarsi nella nostra società, costruire le basi per trovare un lavoro e un'abitazione “Se ci fosse la volontà politica – sottolinea Schiavone e si prendesse sul serio l’articolo 34 della direttiva, si potrebbe mettere mano a questo grande problema italiano, che crea un grandissimo problema sociale (che si scarica sulle fragili spalle dei comuni) e riduce dei rifugiati a dei senza fissa dimora. Ciò solo apparentemente con un aumento della spesa pubblica, in realtà con un suo contenimento rispetto ad oggi, poiché prima o dopo, nei territori il disagio abitativo e lavorativo dei rifugiati emerge in modo drammatico e deve essere comunque gestito, ex post, ma con maggior impegno di risorse e minori probabilità di successo ”.

Direttive “accoglienza” e “procedure”. Il recepimento di queste due direttive è previsto entro  luglio 2015, ma l’Italia potrebbe recepirle ben prima, predisponendo fin dai prossimi mesi un pacchetto di misure,che dovrebbe prevedere la riforma delle commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo (tematica attinente la direttiva procedure) e l’abolizione dei Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo), strutture collettive di accoglienza a diretta gestione statale (tematica, come è evidente, di competenza della direttiva accoglienza).

Per quanto riguarda le commissioni che esaminano le domande di asilo, va sottolineato come a norma vigente la composizione e il funzionamento delle commissioni non garantiscono i requisiti di competenza ed indipendenza pure previsti dal diritto europeo; in particolare molto carente risulta il requisito della competenza, dal momento che la norma non disciplina affatto quali sono le competenze in materia di conoscenza del diritto d'asilo che debbono possedere coloro che sono nominati (dalle amministrazioni centrali del ministero dell'Interno e dagli enti locali) a fare parte delle commissioni stesse. Molte ricerche indipendenti hanno evidenziato come la qualità complessiva del procedimento di decisione delle domande dia bassa (istruttorie carenti, interviste che tengono poco conto delle differenze culturali e delle vulnerabilità di molti richiedenti, specie delle vittime di tortura o violenze estreme, motivazioni di rigetto poco motivate sia in fatto che in diritto, uso scarso e confuso delle fonti informative sui paesi di origine etc) . Secondo l’Asgi le commissioni dovrebbero diventare organi amministrativi dotati di personale qualificato e multidisciplimare, indivuato secondo procedure di selezione pubblica, indipendenti dalla pervasività dei diversi orientamenti politici del momento.

Per quanto riguarda la direttiva accoglienza, secondo l’Asgi andrebbe superata la dicotomia Sprar/Cara a favore di sistema unico di accoglienza decentrata che operi una netta scelta a favore dell'accoglienza diffusa, realizzata nei territori, dagli enti locali (con finanziamento statale), evitando il ricorso a grandi strutture di accoglienza di gestione prefettizia avulse dalla gestione dei servizi socio-sanitari del territorio; si tratta di strutture  che da oltre un decennio si sono rivelate molto costose a fronte di una bassa qualità dei servizi di tutela garantiti. Dopo l'eventuale invio in centri di primo soccorso ed accoglienza (ad esempio nel caso degli sbarchi) non v'è nessuna ragione per non decentrare i richiedenti in tutto il territorio nazionale in piccoli progetti dal minimo impatto sociale e dalla elevata capacità di offrire servizi qualificati, come è stato ben dimostrato dall'esperienza decennale (dal 2002) dello SPRAR.

Regolamento di Dublino. Il Regolamento Dublino III è entrato in vigore il 19 luglio 2013 ma si applicherà solo a partire dal 1° gennaio 2014. Fino a quella data, si continuerà ad applicare il Regolamento Dublino II. Strettamente collegato al Regolamento Dublino è il Regolamento Eurodac, che permette agli Stati di comparare – tra le altre cose – le impronte digitali dei richiedenti asilo. Tale regolamento si applicherà solo a partire dal 20 luglio 2015. Il Regolamento Dublino contiene i criteri e meccanismi per individuare lo Stato membro che è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o apolide. Ed è senza dubbio il “pezzo” del Sistema europeo comune di asilo più discusso e criticato, non solo dal punto di vista delle conseguenze negative sulla vita dei richiedenti asilo ma anche per la scarsa efficienza del sistema. Il regolamento Dublino III – spiega Alessandro Fiorini dell’Associazione Asilo in Europa - apporta una serie di novità importanti e certamente apprezzabili, in quanto in grado di attenuare parzialmente gli effetti negativi del sistema. Quello che una - pur positiva - modifica parziale del Regolamento di certo non potrà fare è rimediare ai problemi che stanno alla base del sistema Dublino, il cui impianto si regge su un presupposto non corrispondente al vero, cioè che gli Stati membri costituiscano un’area con un livello di protezione omogeneo. Al contrario, tutti sanno che non è così perché le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e i tassi di accoglimento di domande di protezione “simili” cambiano drammaticamente da un Paese all’altro. Ma non è tutto. Infatti, poiché allo stato attuale chi ottiene la protezione internazionale non ha poi la possibilità di lavorare regolarmente in un altro Stato UE, ciò significa che, salvo eccezioni, lo Stato che viene individuato dal sistema Dublino come competente ad esaminare la domanda sarà poi anche lo Stato in cui l’interessato dovrà rimanere una volta ottenuta la protezione. Ciò non tiene conto né delle aspirazioni dei singoli (o dei loro legami familiari o culturali con alcuni Paesi) né delle concrete prospettive di trovare un’occupazione nei diversi Paesi europei. Come se Malta, la Grecia, la Germania, la Svezia fossero la stessa cosa. Occorrono dunque interventi che vanno ben oltre qualche (benvenuta) modifica a Dublino.

Le principali novità introdotte da Dublino III. Alcune definizioni sono (leggermente) più ampie, altre sono introdotte per la prima volta (parenti, rappresentante del minore non accompagnato, rischio di fuga); obbligo di considerare sempre l’interesse superiore del minore, possibilità di ricongiungimento più ampie (e in generale più garanzie) per i minori; divieto esplicito di trasferire un richiedente qualora si abbiano fondati motivi di ritenere che vi sia un rischio di trattamenti inumani o degradanti; obbligo di fornire più informazioni ai richiedenti (sia prima che dopo l’eventuale decisione di trasferimento) e di condurre un colloquio personale (prima della decisione di trasferimento); regole più chiare (ma più restrittive) sulla competenza in caso di “persone a carico”; si chiariscono in maniera opportuna gli obblighi dello Stato competente; termini più stringenti per la procedura di presa in carico e introduzione di termini per la richiesta di ripresa in carico. Il ricorso contro una decisione di trasferimento (pur non automaticamente sospensivo) offre sicuramente molte più garanzie rispetto a Dublino II. Introduzione di limiti, anche temporali, al trattenimento delle persone soggette alla procedura Dublino (ma rimane elevato rischio-discrezionalità. Chiarite modalità e costi dei trasferimenti. Obbligo, prima di un trasferimento, di scambiarsi dati (anche sanitari) necessari a garantire assistenza adeguata, continuità della protezione e soddisfazione di esigenze specifiche, in particolare mediche. Introduzione di un “meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi” in caso di rischio di speciale pressione sul sistema di asilo di un Paese e/o in caso di problemi nel funzionamento dello stesso. (ab)

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