25 febbraio 2016 ore: 16:09
Immigrazione

Il flop della formazione dei migranti in patria: 3 milioni per 213 lavoratori

Dovevano essere uno strumento per formare all’estero i lavoratori stranieri pronti a lavorare nelle imprese italiane, ma nei sono stati un vero e proprio flop. Tra lungaggini burocratiche e vere e proprie truffe. Ma altrove funzionano.
Immigrato scrive alla lavagna

ROMA – Dovevano essere uno strumento per formare all’estero i lavoratori stranieri pronti a lavorare nelle imprese italiane, ma nei fatti i programmi prepartenza, previsti dall’articolo 23 del Testo unico sull’immigrazione, sono stati un vero e proprio flop. Dal 2011 al 2014, infatti, l’Italia ha formato all’estero per l’avviamento al lavoro 3.360 stranieri extracomunitari, di questi sono venuti effettivamente a lavorare nelle nostre imprese solo 213 persone. Il tutto per un costo complessivo di 3milioni e 200mila euro (circa 15mila euro a lavorare assunto). A fare un quadro della situazione è stato Rodolfo Giorgetti, responsabile immigrazione di Italia lavoro, nel corso del convegno “Immigrazione e integrazione: Canada e Italia a confronto”, promosso dall’Oim e dall’ambasciata canadese.

I programmi prepartenza sono frutto di accordi bilaterali tra paesi e consistono in veri e propri corsi di formazione, dove si insegna la lingua del paese di destinazione e si danno dei rudimenti rispetto al settore di impiego. Sono coinvolte anche le aziende dei paesi dove gli stranieri andranno a lavorare, che si rendono disponibili a far lavorare le persone. Nel tempo il nostro paese ha stretto accordi con Tunisia, Marocco, Albania, Moldavia, Filippine. Ma se sulla carta il processo è lineare, nei fatti non ha funzionato. “Solo l’anno scorso abbiamo formato 160 lavoratori stagionali in Tunisia – sottolinea Giorgetti –ma su 160 persone sono arrivate solo due comunicazioni obbligatorie dalle aziende”. E gli altri? “Probabilmente sono in giro per l’Europa – aggiunge -. Sappiamo bene che si usano tutti i mezzi per entrare in Italia e poi scomparire”.

I motivi alla base del flop sono tanti e diversi, dalle lungaggini burocratiche a vere e proprie truffe.“E’ chiaro che l’articolo 23 del Testo unico è un articolo vecchio, pensato più di 20 anni fa e ormai superato – aggiunge Giorgetti -. La struttura che sta dietro è farraginosa, non c’è corrispondenza tra quando si forma una persona e quando questa entra per lavorare. Di solito passa un anno e a quel punto l’impresa magari non ha più bisogno di manodopera. Con i tempi del mercato tutto questo non funziona –continua –. Le persone formate non sono state abbandonate: hanno diritto di prelazione, possono entrare senza passare per le quote, ma se nessuno li chiama non possono entrare. E’ un paradosso”. Ma al di là dei tempi lunghi ci sono state anche aziende che nel tempo pur avendo ricevuto finanziamenti, si sono prestate a far arrivare persone in Italia senza però poi effettivamente assurmerle. “Su questo ci sono state vere e proprie denunce alla procura della Repubblica”, conclude Giorgetti.

Ma se in Italia l’esperienza è stata fallimentare, altrove il meccanismo funziona. Come per esempio in Canada dove, dall’inizio dell’anno a oggi sono stati già formate 12 mila persone, ma si conta di raggiungere quota 16 mila nei prossimi 3 mesi, con una spesa complessiva annuale di 5 milioni di euro. In Canada – spiega Luoise Belanger, di Oim – i programmi prepartenza non riguardano solo i migranti economici ma anche i richiedenti asilo che fanno parte dei programmi di resettlement. “L’integrazione in Canada è come l`insalata mista dove si assaporano gusti diversi ma conditi da multiculturalismo – sottolinea Belanger - l’orientamento che facciamo all’estero, è il primo passo per un lungo processo di inclusione”. I programmi prepartenza hanno preso avvio nel paese nel ’98 e negli anni hanno permesso di formare più di 200mila partecipanti. “Prima erano basati su un  orientamento culturale, ora sul multiculturalismo che è parte integrante nostro quadro normativo – aggiunge -Attualmente abbiamo 22 sedi di formazione in tutto il mondo: dall’Asia all’Africa fino all’America latina”.  I corsi vengono effettuati in pochi giorni, e prevedono sessioni di lingua e informazioni sul paese di destinazione. “C’è un gruppo di orientamento che spiega i servizi e che fa anche orientamento al lavoro – aggiunge -  così quando il migrante arriva nel paese sa già come orientarsi”. Questo tipo di programmi fanno parte di un progetto più ampio di inclusione. Come ha ricorcaro Paul Gibbard, ministro Consigliere dell’Ambasciata del Canada in Italia: “il Canada si fonda sull’immigrazione, e l’ integrazione è la sfida più grande perché coinvolge tutti i livelli della società”. (ec)

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