Il grido del papa a Lampedusa: "Noi ormai insensibili verso chi soffre"
ROMA – “Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro”. Papa Francesco va a Lampedusa per un viaggio lampo che dura solo poche ore, ma che va al cuore di una delle tragedie più grandi del nostro tempo, una “spina nel cuore”, la definisce spiegando i motivi che lo hanno spinto fin quaggiù, nell’estremo lembo meridionale d’Europa. Porta la sua preghiera per i morti, gente che cercava una “via di speranza” cercando di raggiungere l’Europa e ha trovato invece solamente la morte nel mezzo del Mediterraneo. Getta in mare una corona di fiori in loro memoria, mentre i pescatori di Lampedusa (gli stessi che talvolta hanno tratto in salvo i migranti) lo accompagnano in mare con le loro imbarcazioni. Incontra alcuni migranti, saluta la comunità di Lampedusa e Linosa e con oltre 10 mila fedeli presenti celebra una messa nel campo sportivo: un rito con una chiara impronta penitenziale, cui il pontefice aggiunge parole di forte impatto parlando di “globalizzazione dell’indifferenza” e riflettendo su quella “cultura del benessere che “ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone”. E con l’invocazione a Dio perché conceda “la grazia di piangere sulla nostra indifferenza” c’è anche l’accenno alla “crudeltà che c’è nel mondo, in noi e anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”.
box Il viaggio. Francesco parte dal Vaticano alle 7,20 della mattina e decolla alle 8 da Ciampino. Dopo un’ora e un quarto lo accolgono all’aeroporto di Lampedusa l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro e il sindaco Giuseppina Nicolini. Basso profilo, aveva chiesto (anzi imposto) il papa, e così è stato. In auto va a Cala Pisana, si imbarca e raggiunge via mare il Porto di Lampedusa: qui il lancio della corona di fiori. Alle 9,30 la barca entra a Punta Favarolo, sul molo lo salutano gruppi di immigrati. Si tocca terra e si va in località Salina, dove alle 10 si celebra la Santa Messa. Dopo la celebrazione, il papa si sposta fra due ali di folla con una vettura scoperta fino alla parrocchia di San Gerlando dove incontra un gruppo di migranti insieme al parroco don Stefano Nastasi. Ultima tappa prima del trasferimento in aeroporto per il decollo e il rientro a Roma.
Il grazie agli abitanti. “Vorrei dire - dice papa Francesco in apertura della sua omelia - una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!”. “Lampedusa – dice poi più tardi al termine della messa - è un faro: che questo vostro esempio sia faro in tutto il mondo perché abbiano il coraggio di accogliere”.
Il saluto agli immigrati musulmani. Con gli abitanti locali il papa saluta anche i “cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan”: ad essi il papa rivolge “l’augurio di abbondanti frutti spirituali” e assicura loro che “la Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie”.
Una spina nel cuore che porta sofferenza. Il papa è a Lampedusa - spiega il pontefice - “per pregare, per compiere un gesto di vicinanza, ma anche per risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta”, spiega all’inizio dell’omelia il papa stesso. E lo dice due volte (“Non si ripeta, per favore”). Il pensiero è per gli “immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte” e racconta che “quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza, e allora ho sentito che dovevo venire qui oggi”.
Rito di penitenza. La celebrazione è improntata alla penitenza e la stessa scelta delle letture proclamate – che non sono quelle previste dalla liturgia odierna – è significativa: vengono proclamati un brano tratto dal libro della Genesi sull’uccisione di Abele da parte di Caino (con Dio che chiede conto al fratello maggiore del sangue del minore) e il brano evangelico (presente in Matteo) della strage degli innocenti, quella voluta da Erode che per essere sicuro di eliminare Gesù fa uccidere tutti i neonati maschi dai due anni in giù. E’ a partire da questi due episodi biblici che il papa afferma di voler “proporre alcune parole che provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti”.
Chi è responsabile di questo sangue? Nessuno! “Quei nostri fratelli e sorelle – scandisce Francesco riferito ai migranti - cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte”. “Chi è il responsabile di questo sangue?”, si domanda, e risponde così: “Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?”. Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo "poverino", e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”.
La globalizzazione dell’indifferenza. “La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi – rincara papa Francesco - ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. “Chi di noi – insiste il pontefice - ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?, per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?”. “Siamo una società – continua - che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del "patire con": la globalizzazione dell’indifferenza”. “Erode – ecco il riferimento al Vangelo proclamato - ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone, e questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. «Chi ha pianto?»".
Richiesta di perdono. “Signore – conclude il papa - in questa Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”.