4 novembre 2019 ore: 12:52
Disabilità

Il “limbo” dell'adozione speciale: in attesa di cognome, residenza e 104

Una mamma adottiva racconta l'attesa, non ancora finita, che ha caratterizzato tutti il percorso di adozione di una bambina con disabilità. “Il decreto è arrivato a maggio, ma ancora non posso fruire dei congedi per portarla in ospedale”. La nuova rubrica dell'associazione “M'aMa - Dalla parte dei bambini”; per recapitare i messaggi dalle famiglie adottive ai giudici

Affido, adozione, famiglia: mani sovrapposte - SITO NUOVO

ROMA – Maria (nome di fantasia) ha una famiglia ormai da maggio, ma ufficialmente non ha un cognome né una casa: è in quel “limbo giudiziario” in cui spesso di trovano, per un tempo più o meno lungo, tanti bambini adottati. E se l'adozione è “speciale”, come nel caso di Maria, questo crea problemi seri: per esempio, l'impossibilità, per la mamma adottiva, di fruire dei congedi in base alla legge 104. A raccontare il “limbo” in cui Maria e i suoi “nuovi” genitori vivono da maggio scorso è proprio la mamma adottava, tramite la rubrica “Giudice, ora mi leggi?”, inaugurata nei giorni scorsi dall'associazione “M’aMa-Dalla Parte dei Bambini”. Una rete di mamme affidatarie e adottive che, volontariamente, si mettono al servizio di quei bambini che, per lo più a causa di una disabilità o di un ritardo, faticano a trovare una famiglia e vivono a lungo (troppo a lungo) in comunità. Colpa spesso di ritardi burocratici, perché spesso ci sono aspiranti genitori pronti ad accogliere in casa questi bambini e ad affrontare tutte le difficoltà e le famiglie che ciò comporta. Proprio per far luce su questi ritardi e cercare di sollecitare una risposta da parte di chi, sopratutto dai tribunali, è chiamato a darla, l'associazione ha inventato questo spazio, impegnandosi. Una volta verificata la veridicità della fonte, a recapitare il messaggio ai Tribunali per i Minorenni e ai Servizi sociali di tutto il territorio nazionale.

Tra le prime lettere pubblicate nella rubrica c'è proprio questa storia di “limbo giudiziario”, iniziata quasi due anni fa. “Dicembre 2017. Solita mattina al lavoro. Intervallo. Squilla il telefono. Caro Giudice, eri tu che mi chiamavi per chiedere se io e mio marito fossimo disponibili ad accogliere una neonata affetta da una sindrome genetica”, scrive la mamma. “Chiusi il telefono, le gambe non mi reggevano – racconta - Chiamai subito mio marito. Ti ricontattammo per dirti di sì e ci fissasti il primo colloquio in Tribunale per i minorenni. Ricordo che per tutto il viaggio non chiusi occhio per l’euforia. Arrivò il momento di conoscerci. Dopo il colloquio ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti presto. Caro Giudice, ancora oggi io mi chiedo cosa significhi per te la parola 'presto', visto che la nostra piccola, che al momento del nostro incontro aveva appena quattro mesi, ha dovuto trascorrere ulteriori tre mesi in comunità, lontana dall’affetto e dal calore di una vera famiglia”. Tanto passò, infatti, prima che venisse disposto l'affidamento preadottivo della bambina, che nel frattempo restava in comunità.

“Caro Giudice, noi ti dovremmo essere grati per averci dato la possibilità di diventare genitori, però, ti prego, lasciamelo proprio dire: in tutto il periodo di affidamento preadottivo ci siamo sentiti davvero soli ed abbandonati, in balia di tutori per i quali nostra figlia è stata solo un numero, un fascicolo da rispolverare ogni tanto, quando e se si ricordavano”.

Finalmente, nel maggio scorso, il giudice ha decretato e disposto l'adozione: questo non è bastato, tuttavia, a far uscire la bambina dal “limbo” in cui vive da quando è nata, perché “la residenza non è ancora stata assegnata, il nuovo cognome della bambina neanche: ed io non posso usufruire dei permessi per la 104 ogni volta che dobbiamo portare la bambina presso l’ospedale che la tiene in cura da quando è nata”, riferisce la mamma.

“Caro Giudice, ma ti rendi conto che nostra figlia ha una patologia genetica rara e che ha bisogno di monitoraggi e cure continue e tu ci hai lasciati soli? Lasciamelo proprio dire: se da una parte ti dobbiamo essere grati per averci scelto come genitori di nostra figlia, ogni volta che si presenta un problema mi sento davvero impotente e penso che qualcuno potrebbe aiutarci, ma non lo fa. I bambini come nostra figlia hanno cominciato la loro vita già in salita – conclude. E tu, caro Giudice, non la rendi più facile”. (cl)

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