Il Migration pact introduce la sponsorship sui rimpatri. “Questa non è solidarietà”
Uno dei migranti a bordo della Sea Watch 4
ROMA - “Un nuovo equilibrio tra solidarietà e responsabilità. Non si tratta più di decidere se aiutarsi a vicenda, ma come farlo”. Con queste parole Ursula Von Der Leyer, presidente della Commissione europea, ha introdotto il nuovo Patto europeo per le migrazioni e l’asilo. Un piano, che secondo la presidente, segna un “nuovo inizio” e che si fonda sulla “solidarietà europea”. Nei fatti, si punta al controllo dei flussi verso l’Unione, cercando di aumentare e accelerare le procedure di rimpatrio. Il messaggio è chiaro: chi non ha diritto a venire in Europa sarà rimandato indietro, senza eccezioni. Non è un caso, quindi, che alla voce solidarietà tra gli Stati, il vicepresidente della Commissione, Schinas, menzioni più volte “la sponsorship sui rimpatri”. E’ questa, infatti una delle poche novità introdotte dal Migration Pact: i paesi che non vorranno accogliere i migranti dovranno aiutare i paesi frontalieri nel rimpatrio, pagando o facendosi carico della procedura.
Cosa prevede il Migration Pact
Nonostante si parli di un superamento del Regolamento Dublino, rimane il principio del Paese di primo ingresso, dove i migranti saranno sottoposti a un pre screening, che include l'identificazione, i controlli sanitari e di sicurezza, il rilevamento delle impronte digitali e la registrazione nella banca dati Eurodac. Nell'ambito di questa procedura di frontiera, saranno prese “rapide decisioni di asilo o rimpatrio”. Il secondo pilastro al centro del patto è “l'equa ripartizione della responsabilità e la solidarietà”. Gli Stati membri saranno tenuti a contribuire alla solidarietà “nei periodi di forte sollecitazione, per contribuire a stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l'Unione adempia ai propri obblighi umanitari”. Il contributo però sarà “flessibile”: dalla ricollocazione dei richiedenti asilo dal paese di primo ingresso all'assunzione della responsabilità del rimpatrio delle persone senza diritto di soggiorno, fino a varie forme di sostegno operativo, anche finanziario. Parallelamente l'Ue cercherà di promuovere partenariati su misura e reciprocamente vantaggiosi con i paesi terzi. Tali partenariati “contribuiranno ad affrontare sfide comuni come il traffico di migranti e a sviluppare percorsi legali e affronteranno la questione dell'effettiva attuazione degli accordi e delle intese di riammissione” si legge nel documento. Il piano cercherà, dunque, di promuovere un sistema comune dell'Ue per i rimpatri, prevedendo anche un “quadro giuridico più efficace, un ruolo più incisivo della guardia di frontiera e costiera europea e un coordinatore UE per i rimpatri di nuova nomina con una rete di rappresentanti nazionali per garantire la coerenza in tutta l'Ue”.
Per il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas questo “nuovo inizio” consentirà di “avere un approccio più razionale” alla gestione del fenomeno migratorio. “Il nuovo concetto di sponsorizzazione dei rimpatri servirà a riequilibrare interessi concorrenti : non tutti gli Stati membri accetteranno la ricollocazione dei migranti - spiega - con questo sistema offriamo un’alternativa percorribile: se non si decide di accogliere si può aiutare nel rimpatrio”. La condivisione della responsabilità sulle riammissioni potrebbe servire anche ad aggirare il problema degli accordi con i paesi di origine e transito, che non tutti i paesi hanno. La Commisaria Ue Ylva Johansson ricorda che lo scorso anno sono stati 140mila gli arrivi irregolari in Ue. “Di questi solo un terzo erano rifugiati - afferma -, gli altri hanno avuto una decisione negativa sull’ asilo e devono essere rimpatriati in tempi celeri. E’ essenziale difendere diritto di chiedere asilo - aggiunge -, noi proponiamo un meccanismo di non respingimento alla frontiera. All’arrivo ci sarà uno screening obbligatorio, che durerà 5 giorni: se il richiedente ha un collegamento in un altro stato membro quel paese potrà essere indicato come responsabile per la domanda di asilo. Se, però, la persona proviene da paesi in cui il tasso di riconoscimento dell’asilo è sotto il 20%, e non è un soggetto vulnerabile, potrà aver accesso alla procedura ma l’esame della sua domanda dovrà svolgersi rapidamente. Il messaggio è chiaro: si verrà rimpatriati se si arriva in Ue senza averne diritto”.
Disumanizzazione dei migranti: “trattati come pacchi da smistare”
“E’ un piano che ripropone vecchie politiche, che si sono già rivelate fallimentari. In aggiunta c’è una vera e propria ossessione per le riammissioni. Il concetto di solidarietà non è verso i migranti e i rifugiati, ma tra gli Stati - sottolinea Sara Prestianni, responsabile Immigrazione e Asilo per EuroMed Rights -. Nella proposta non si tiene conto dell’aumento delle violazioni dei diritti umani e dei respingimenti. Si punta a una chiusura ancora più rafforzata della dimensione esterna, in continuità con l’agenda europea sulla migrazione, e della possibilità di accesso alla procedura di asilo. Nessuno stato può essere considerato sicuro a priori, la richiesta va fatta a partire dalle storie personali. L’accelerazione sui tempi aumenta il rischio di violare il diritto alla protezione. C’è una chiara disumanizzazione dei migranti e rifugiati, considerati come pacchi da smistare”.
A colpire è anche l’accento posto sulla sponsorizzazione dei rimpatri. “Finora abbiamo usato il termine sponsorship per le vie legali e sicure, che si fondavano sul modello canadese - aggiunge Prestianni - Oggi questa parola è posta affianco a rimpatri, facendo capire perfettamente su cosa si fonda questo patto. Non solo, ma si fa anche riferimento alla condizionalità sull’aumento del rilascio dei visti. Infine non si trova traccia di una missione di ricerca e salvataggio europea, che da tempo chiediamo a gran voce”.
E in una lettera aperta indirizzata a Von Der Leyen, le ong che si occupano di soccorso in mare (tra cui Sea Watch, Mediterranea, Open Arms e Sea Eye) si sono dette deluse per non aver trovato traccia nel Patto dell’annuncio di un’operazione europea di ricerca e salvataggio. "Riteniamo che la sicurezza e l’equipaggiamento delle nostre navi, così come la trasparenza delle informazioni e delle comunicazioni alle autorità nazionali, non debbano essere i punti focali dell’attenzione della Commissione Europea quando si parla dell’attuale situazione nel Mediterraneo. Ma, poiché lei sembra essere ambigua a questo proposito, le ribadiamo ancora una volta quelle che consideriamo le misure adeguate da adottare per definire il quadro giuridico e le prassi da seguire nella più pericolosa frontiera del mondo - scrivono -. Secondo il diritto internazionale, le persone salvate in mare devono essere portate nel luogo più vicino dove la sicurezza e la vita delle persone salvate non sia più a rischio e dove sia possibile soddisfare le fondamentali necessità umane. Anziché sostenere le missioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, i governi europei stanno esercitando un’indebita pressione sulle organizzazioni della società civile, portando avanti accuse infondate e impedendo alle navi di ricerca e salvataggio di entrare e uscire dai loro porti".
Per Oxfam il progetto di riforma del sistema di asilo presentato oggi dalla Commissione europea, rappresenta un nuovo passo falso nella direzione sbagliata. “Attendiamo da molti anni una riforma europea del sistema di asilo che, in linea con il diritto internazionale, sia in grado di garantire sicurezza e protezione a chi fugge in Europa da guerre e persecuzioni o dall’impatto devastante del cambiamento climatico, che sempre più genera miseria e carestie in gran parte dell’Africa - sottolinea Paolo Pezzati, policy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia – Tuttavia, sebbene sia positivo il tentativo della Commissione europea di raggiungere un’intesa tra gli Stati membri per produrre un cambiamento significativo, siamo di fronte ancora una volta ad un visione puramente securitaria e di corto respiro. Nel tentativo di trovare un compromesso, infatti, è prevalsa la linea di quei Paesi che hanno come unico obiettivo, la riduzione del numero di persone a cui concedere protezione e una vita dignitosa in Europa”. Duro il commento anche di Filippo Miraglia di Arci: "Si tratta, ancora una volta, di una guerra contro l’immigrazione, che continua ad essere considerata, da Commissione e governi, un nemico dell’Ue da cui difendersi, un pericolo contro il quale organizzarsi, anche a costo di cancellare i principi del diritto internazionale ed europeo e quelli delle costituzioni dei Paesi membri - afferma -. Questa proposta somiglia, più che ad una casa a tre piani, come ha dichiarato la Presidente Ursula von der Leyen, alla solita fortezza".
In particolare, per Miraglia la previsione di 5 giorni per l’identificazione e di 12 settimane per chiudere la procedura è del tutto irrealistica e punta a ridurre ancora di più lo spazio del diritto d’asilo in Europa. "Considerando che dall’inizio dell’anno, secondo Eurostat, sono circa 247mila le richieste d’asilo presentate nell’Unione e 676mila nel 2019, l’Europa si conferma una delle aree geografiche del mondo meno investite dai flussi straordinari di persone in fuga dalle loro case (80 milioni nel 2019 secondo Hcr), questo nuovo Patto conferma la scelta ideologica e cinica di impedire a poche migliaia di persone di chiedere asilo ai governi dell’Ue, ottenendo l’accoglienza prevista nelle Direttive europee".