Il mondo sommerso delle cure negate: la nuova violenza verso i disabili
TORINO - Hanno un’età compresa tra i 18 e i 60 anni, provengono da ogni strato sociale e da ogni zona del mondo, ma hanno almeno una cosa in comune: sono disabili e hanno subito violenza.
Che l’affettività dei portatori di handicap, almeno in Italia, fosse una terra inesplorata si sapeva già. Ma se dei passi avanti sono stati fatti per quanto riguarda la sfera sessuale, nel rimosso collettivo pare rimasto impigliato un fenomeno inquietante: una peculiare forma di abuso domestico che travalica i rapporti di genere; e che le operatrici del consultorio “Il Fiore di loto” di Torino - tra i pochissimi in Italia ad essere attrezzati per le donne con disabilità - definiscono “violenza sul fragile”.
Da loro è partito l’impulso per una ricerca che la facoltà di Psicologia dell’Università di Torino sta conducendo su un campione di circa 200 persone disabili, egualmente divise tra uomini e donne: lo scopo è conoscere la diffusione sul territorio italiano di una forma di violenza “che consiste soprattutto nel negare le cure essenziali alla persona disabile con cui si condivide il tetto - spiega la dottoressa Giada Morandi, psicologa nell’ambulatorio - e che viene agita tanto dal coniuge o convivente, quanto dai parenti o da coloro che vengono generalmente definiti caregiver”.
Nel settembre del 2014, Morandi è stata tra le promotrici dello sportello anti-violenza dedicato alle donne disabili all’interno del “Fiore di loto”: inizialmente, l’obiettivo era fornire aiuto e assistenza alle eventuali vittime di abusi domestici, “intesi come forme di violenza agite da un uomo su una donna” precisa la psicologa. “Presto, però - continua - ci siamo trovate di fronte a un dato inaspettato. La maggior parte delle nostre utenti non era inquadrabile nella casistica ‘standard’ della violenza domestica: ciò che riferivano, invece, era una voluta mancanza di attenzioni essenziali da parte di chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. Capita spesso, ad esempio, che il coniuge, un genitore o un figlio rifiutino di farle alzare dal letto, di lavarle o addirittura di dar loro da mangiare; e la cosa più inquietante è che ciò tende a verificarsi soprattutto in seguito liti o a momenti di conflittualità, configurandosi quindi come un atto di aggressività coperta”.
Trattandosi di un consultorio, nato in prima battuta come ambulatorio “accessibile” di ginecologia, i casi riportati hanno riguardato inizialmente una platea di sole donne. “Molto presto, però - spiega Morandi - è stato chiaro che gli uomini sono altrettanto esposti al fenomeno”. Così, le operatrici del centro si sono mosse in due direzioni: oltre a estendere anche a questi ultimi l’accesso allo sportello, hanno commissionato all’Università un’indagine conoscitiva, che dovrebbe concludersi entro il prossimo gennaio, quando inizierà l’elaborazione dei dati.
A fronte di 4mila persone disabili contattate, circa 190 hanno finora accettato di sottoporsi al questionario: il campione va dai 18 ai 65 anni, e, oltre a 170 italiani, conta anche 15 persone provenienti da Marocco, Bulgaria, Moldavia e da vari paesi dell’est europeo o dell’America latina. Gli intervistati, divisi tra 95 uomini e 90 donne, coprono l’intero spettro della disabilità, sia questa fisica, motoria, sensoriale o intellettiva: si tratta inoltre di un campione eterogeneo, equamente suddiviso tra disabili dalla nascita e non.
Secondo il professor Claudio Longobardi, docente di Maltrattamento e abuso intra-familiare che sta guidando l’equipe di ricerca, “stando a quanto finora raccolto, ci si aspetta che il fenomeno emerga, seppur con molti impedimenti e con risultati apparentemente trascurabili; risultati che in realtà potrebbero invece mettere in luce quanto questa forma di abuso sia presente anche in contesti urbani, vicini alla vita di ciascuno di noi”. Come per i casi di violenza domestica, sia i ricercatori che le operatrici dello sportello hanno riscontrato un’evidente tendenza a rispondere con reticenza, o in maniera incompleta, alle domande su eventuali episodi di abuso, seppur nell’anonimato o in un contesto protetto. Sarebbe questo, finora, il più grande impedimento allo studio approfondito di un fenomeno “che probabilmente - spiega Longobardi - è destinato, almeno per il momento, a restare in gran parte celato”.
A fargli eco c’è ancora la dottoressa Morandi; secondo la quale, in casi del genere, “la resistenza a denunciare è ancora più pronunciata che nelle dinamiche riscontrate all’interno di una coppia”. “Una persona disabile - continua la psicologa - dipende in tutto e per tutto da chi, almeno in teoria, dovrebbe prendersene cura: rescindendo quel legame, la paura è di trovarsi del tutto tagliati fuori dal mondo”. Nonostante questo però, negli ultimi 12 mesi e nella sola Torino, ben dieci di loro hanno accettato di entrare nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza ideati dallo sportello del “Fiore di loto” in collaborazione con l’ufficio disabili del comune: si tratta di 6 donne e 4 uomini di età compresa tra i 23 e i 54 anni, affetti, in sette casi, da forme di disabilità motoria, e nei restanti da problemi fisici, psichiatrici o intellettivi.
“Per loro - conclude Morandi - abbiamo approntato una serie di attività di affiancamento e monitoraggio; anche grazie alla collaborazione di peer counselor (ovvero operatori a loro volta disabili, ndr) e di mediatori culturali per quanto riguarda le persone straniere. Abbiamo inoltre stipulato una convenzione con una casa rifugio, per i casi in cui si renda necessario l’allontanamento, in via temporanea o per periodi più lunghi, dal domicilio”. (ams)