Il papa: dignità per i rifugiati, non basta dare un panino
Papa a Lampedusa. Saluta immigrati
ROMA – Dare un panino non basta, la giustizia chiede che nessuno debba più avere bisogno di un mensa e di un alloggio di fortuna: serve valorizzare allora la dimensione umana, per permettere a tutti di vivere una vita dignitosa. Papa Francesco parla ai rifugiati (e agli operatori e volontari) che incontra nella Chiesa del Gesù, a pochi passi dal Centro Astalli, il Centro per l’accoglienza e il servizio ai richiedenti asilo e rifugiati curato dal JRS (Jesuit Refugee Service - Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) che opera nel centro di Roma. E invita le istituzioni e la comunità ecclesiale a “servire, accompagnare, difendere” i rifugiati, in particolare ricordando ai responsabili degli ordini religiosi che “i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi”, “non sono nostri, ma sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati”.
Migrazioni, atto secondo. Papa Francesco cita Lampedusa, luogo del primo arrivo dei migranti, isola visitata lo scorso mese di luglio, e ricorda subito che Roma, la capitale, è spesso la seconda tappa delle tante persone che giungono su quell’isola. “Roma – dice - dovrebbe essere la città che permette di ritrovare una dimensione umana, di ricominciare a sorridere, ma quante volte, invece, qui, come in altre parti, tante persone che portano scritto “protezione internazionale” sul loro permesso di soggiorno, sono costrette a vivere in situazioni disagiate, a volte degradanti, senza la possibilità di iniziare una vita dignitosa, di pensare a un nuovo futuro!”.
Bene dunque l’azione di operatori, volontari, benefattori, che non solo donano “qualcosa o del tempo, ma anche cercano di entrare in relazione con i richiedenti asilo e i rifugiati riconoscendoli come persone”, impegnandosi a “trovare risposte concrete ai loro bisogni”. Per loro c’è l’incoraggiamento a “tenere sempre viva la speranza” e a “mostrare che con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro”. Anzi, dice Francesco, “più che una finestra, una porta!”. Solidarietà, dunque, e il papa quasi scherza dicendo che “questa parola che fa paura per il mondo più sviluppato: cercano di non dirla, è quasi una parolaccia per loro”. “Ma è la nostra parola! – dice accorato – perché servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione”.
Il papa passa in rassegna le tre “parole che sono il programma di lavoro” per i Gesuiti e i loro collaboratori: servire, accompagnare, difendere: E spiega però che “la sola accoglienza non basta, non basta dare un panino se non è accompagnato dalla possibilità di imparare a camminare con le proprie gambe”. “La carità che lascia il povero così com’è – precisa ancora - non è sufficiente: la misericordia vera, quella che Dio ci dona e ci insegna, chiede la giustizia, chiede che il povero trovi la strada per non essere più tale. Chiede - e lo chiede a noi Chiesa, a noi città di Roma, alle istituzioni – chiede che nessuno debba più avere bisogno di una mensa, di un alloggio di fortuna, di un servizio di assistenza legale per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere e a lavorare, a essere pienamente persona”.
Papa Francesco si rivolge poi in particolare alla Chiesa, e afferma che “è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli “specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali”. “In particolare – e questo è importante e lo dico dal cuore – in particolare vorrei invitare anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti… Carissimi religiosi e religiose, i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire”.
La chiusura è un invito a farsi avanti, ad aiutare, a fare qualcosa: “Ogni giorno, qui e in altri centri, tante persone, in prevalenza giovani, si mettono in fila per un pasto caldo. Queste persone ci ricordano sofferenze e drammi dell’umanità. Ma quella fila ci dice anche che fare qualcosa, adesso, tutti, è possibile”. Basta bussare alla porta, dice Francesco, e provare a dire: “Io ci sono. Come posso dare una mano?”.