15 gennaio 2015 ore: 15:29
Economia

Il premio Campione a Federico Bastiani, fondatore della prima social street

Il premio “per avere migliorato il proprio ambiente ed essere un esempio positivo per l’opinione pubblica” arriva a un anno e mezzo dalla nascita della social street di via Fondazza a Bologna: "Lo ritirerò a nome di tutti coloro che hanno dato vita alle 365 social street nel mondo”
Prima social street a Bologna - Fondazza
Prima social street a Bologna - Fondazza

BOLOGNA – Un riconoscimento a chi migliora il proprio ambiente professionale o sociale e rappresenta un esempio positivo per l’opinione pubblica: il premio Campione quest’anno ha scelto di premiare anche Federico Bastiani, fondatore della prima social street al mondo, la bolognese via Fondazza. Il premio Campione, arrivato quest’anno alla dodicesima edizione, nato da un’idea di Mario Furlan, fondatore dei City Angels, sarà consegnato a Bastiani il prossimo 22 gennaio dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia: una statuina in vetro simile all’Oscar, la sagoma di un uomo con un grande cuore in mano realizzata da una cooperativa che dà lavoro a persone svantaggiate. “Non me l’aspettavo – commenta Bastiani –, sono emozionato. Ovviamente lo ritirerò a nome di tutte le persone che in questo anno e mezzo di vita hanno dato vita a social street in tutto il mondo”. Oggi sono più o meno 365 sparse in tutto il mondo, 330/340 in Italia e coinvolgono circa 30 mila persone: “Ma i numeri lasciano il tempo che trovano. Le social street non muovono le masse, ma piccolissimi gruppi. Per esempio: un gruppo su Facebook può avere un migliaio di persone. Attivo a livello virtuale, è il 20 per cento. Attivo anche offline, il 10. D’altronde, come dico dall’inizio, fare fronte alla diffidenza dei nostri giorni non è compito facile. Il successo è coinvolgere una, due persone alla volta, non centinaia. Quello che contano non sono solo le relazioni, ma la loro qualità”. 

- Perché se il livello virtuale è più facile e si autoalimenta, il passaggio al reale è un po’ più impegnativo: ogni strada ha la sua storia e i suoi cittadini, non è detto che un’iniziativa portata avanti lungo una strada sia valida anche altrove: “Non c’è una struttura, tutto è informale e fatto su base volontaria. Continuo a stupirmi quando, sulle varie pagine Facebook, leggo richieste talvolta strane, come la necessità di sturare un lavandino alle 23.30 seguite da un sacco di risposte dei vicini di casa che mettono a disposizione le loro competenze e i loro strumenti del mestiere. Per il gusto di farlo, senza tornaconti. Cose anche banali, ma che prendono vita quotidianamente. Le persone si sentono più sicure, così. Sono felici di sentirsi parte di qualcosa: c’è sempre qualcuno che, in qualsiasi momento, ha una parola buona per te”. Per dare vita a iniziative a se stanti, il meccanismo è più complesso: serve tempo e serve soprattutto la capacità di coinvolgere tante persone, per dividersi i compiti. Poi, ogni social street seguirà la sua natura: “L’ultima idea di via Fondazza l’ha avuta un mio vicino. Via Fondazza ha ricevuto in regalo una bicicletta, che adesso è parcheggiata in un apposito spazio di bike sharing. Tutti gli abitanti della via la possono prendere, le chiavi sono nel negozio di frutta e verdura davanti. Quello che ripetiamo sempre è: non avere risorse finanziarie deve diventare una risorsa”.

Come era facile aspettarsi, mano a mano che il concetto di social street prendeva piede, sono aumentate anche le pressioni da parte della politica, in un momento in cui il ruolo della cittadinanza attiva è quanto mai tenuto in considerazione: “Ma le social street non devono essere strumentalizzate, non hanno interessi da garantire o salvaguardare. Nascono e vivono grazie alla volontà di conoscere chi ti sta accanto. Una cosa banale: talmente semplice da diventare rivoluzionaria, come dicono i tesisti che hanno scelto di parlare di social street”. Molti, infatti, sono gli studenti universitari che hanno scelto di raccontare il fenomeno, così come molti sono i riconoscimenti di grandi accademici e studiosi. Bastiani ha raccontato la sua idea in Senato. Ma il momento da ricordare, per lui, è un altro: “Ero a Lecce, mi avevano invitato a parlare a un convegno. Alla fine, mi fermai a parlare con un signore di circa 65 anni. Era arrivato in Ape da un paesino a una sessantina di chilometri per ascoltarmi. Voleva dirmi che anche lì, tra quei 3 mila abitanti, c’era bisogno di una social street. Rimasi impressionato da quest’uomo che, non più giovanissimo, voleva dare vita a una strada sociale. E lì, capii che il modello social street, che io avevo immaginato adatto alle città, chiedeva di nascere anche nei piccoli centri. Lì, in quel momento, capii come davvero la società sia cambiata a 360 gradi, e ovunque si senta il bisogno di entrare in contatto con chi vive nella tua via”. (Ambra Notari)

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