Il reddito di cittadinanza entra nel “contratto”. Che fine farà il Rei?
ROMA – Alla fine Di Maio l’ha spuntata. Nel “Contratto per il governo del cambiamento” tra Movimento 5 stelle e Lega - testo da cui dipendono le sorti del futuro esecutivo del paese - il Reddito di cittadinanza è cosa certa ed è esattamente quello che hanno sempre sognato i pentastellati, nonostante i dubbi sollevati in più occasioni da Matteo Salvini. Il reddito di cittadinanza compare al punto 19, e rispetto alle bozze è stato risolto (confermandolo) l'unico passaggio che veniva indicato come bisognoso di un "vaglio politico primario”: è stato deciso dunque che il beneficiario potrà perdere il reddito di cittadinanza se non accetta tre proposte dei centri per l’impiego nell’arco di due anni. Neanche le previsioni dell’Inps sul costo che potrebbe avere la misura di sostegno al reddito del M5s (ovvero quasi 38 miliardi di euro, secondo Tito Boeri) hanno fatto cambiare idea all’asse Di Maio-Salvini: se ci sarà un governo giallo-verde, ci sarà un reddito di cittadinanza, al costo di 17 miliardi di euro l’anno.
Il contratto, parla di una “misura attiva rivolta ai cittadini italiani che versano in condizione di bisogno”, mentre “l’ammontare dell’erogazione è stabilito in base alla soglia di rischio di povertà calcolata sia per il reddito che per il patrimonio”. Non più, quindi, una misura di contrasto alla povertà assoluta, come nel caso dell’attuale Rei (il reddito di inclusione), ma una misura che prende come target la platea più ampia della povertà relativa, così come più consistente è anche l’erogazione mensile prevista: “780 euro mensili per persona singola, parametrato sulla base della scala Ocse per nuclei familiari più numerosi”. Da sempre, inoltre, il M5s pone l’accento anche sui Centri per l’impiego, a cui andrà “un investimento di 2 miliardi di euro per la riorganizzazione e il potenziamento”. In merito alle risorse, inoltre, le due forze politiche sperano poter attingere anche da fondi europei. “Andrà avviato un dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8- 0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l'utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo (FSE) per istituire un reddito di cittadinanza anche in Italia”.
L’incognita del breve periodo. La prospettiva di un reddito di cittadinanza targato M5s-Lega non spaventa coloro che negli anni passati hanno fatto pressing sul governo affinché si adottassero misure di contrasto alla povertà assoluta, ovvero tutte quelle organizzazioni che hanno messo in piedi l’Alleanza contro la povertà. Tuttavia, qualche preoccupazione c’è. Per Cristiano Gori, docente di politica sociale all'Università di Trento e principale ideatore del Reis (il reddito di inclusione sociale proposto dall’Alleanza contro la povertà a cui l’attuale Rei si è largamente ispirato) nella proposta del movimento c’è un “aspetto positivo”. “Guardando agli obiettivi dichiarati e all’enfasi attribuita, questo governo continuerà il rafforzamento delle politiche contro la povertà in Italia – spiega -. Mi aspetto più fondi e da questo punto di vista prosegue il cammino iniziato con la passata legislatura”. Tuttavia, l’incognita per Gori riguarda il futuro imminente. “Cosa intenderà fare il futuro governo a partire dalla prossima legge di bilancio? Di certo non si arriverà in tempi brevi a tutti i beneficiari auspicati. Mentre l’obiettivo di investire di più sulla povertà pare solido politicamente, il vero punto diventa capire quali siano i prossimi passi”. Per Gori, il rischio reale che si corre è avere “una riforma della riforma”. “In Italia c’è una tradizione che vede le nuove forze politiche al governo smontare quello che è stato fatto per segnare la propria presenza. Per costruire a livello locale una misura innovativa in un paese che ha sempre lavorato poco sulla lotta alla povertà, invece, c’è bisogno di una stabilità delle politiche. Le politiche possono migliorare, ma non si riparte da zero. Dal punto di vista degli utenti, ovvero dei poveri, ripartire da zero sarebbe fatale”.
La trappola della povertà. Altro rischio che si corre con il reddito di cittadinanza, spiega Massimo Baldini, professore associato di Scienza delle finanze all’università di Modena e Reggio Emilia, è quello della “trappola della povertà” dovuto principalmente agli importi elevati del beneficio. “In pratica una famiglia di 4 persone, secondo la scala di equivalenza Ocse modificata, può arrivare sui 2mila euro al mese. Rappresentano un’alternativa fortissima al lavoro e uno stipendio decente per alcune aree del paese – spiega Baldini . Poi c’è il problema che le offerte di lavoro devono essere commisurate alla capacità e alla formazione del singolo e non sempre ci sono. Inoltre, non c’è nessuno schema all’interno di questa misura che incentivi a lavorare. Se guadagni anche poco con un lavoro, il sussidio cala. Sarebbe meglio avere un sussidio più basso, ma se il reddito aumenta di 100 euro perdi solo una parte di sussidio. In questo modo rimane conveniente accettare un lavoro”. Per quanto riguarda il futuro del Rei, invece, Roberto Rossini, presidente delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà, è fiducioso. “Come Alleanza abbiamo avuto un dialogo molto intenso con il M5s – racconta Rossini -. Le loro riflessioni sono state molto utili per formulare bene la nostra proposta di legge. Il confronto c’è sempre stato. Loro agiscono su un progetto diverso, che va oltre il Rei. Noi crediamo che il Rei sia il primo step perché riguarda i più poveri. Poi sul resto potrebbe esserci un “Rei 2” che lo completa, possiamo chiamarlo anche reddito di cittadinanza, che va oltre il tema della povertà assoluta e che abbraccia anche i poveri relativi”.(ga)
(aggiornato il 18/05/2018, ore 12:00)