7 marzo 2014 ore: 10:42
Immigrazione

Il riscatto delle donne rom: dalle baraccopoli alla casa. Oggi lavorano

Mariela fa la cameriera part-time in un albergo, Ana e Anita fanno le sarte. Domani racconteranno la loro storia al convegno del Ceas a Milano di cui è presidente don Virginio Colmegna
Eligio Paoni/Contrasto Rom/sinti, bambino e donna in una baraccopoli

MILANO - Mariela, Ana e Anita: tre donne, di etnia rom, che sono riuscite a riscattarsi dalla vita nelle baraccopoli di Milano. Mariela ora lavora part time come cameriera d'albergo in un grande hotel della città, mentre Ana e Anita fanno le sarte. Venerdì 7 marzo racconteranno la loro storia durante il convegno, organizzato dal Centro ambrosiano di solidarietà (Ceas) di cui è presidente don Virginio Colmegna, nella sede delle Acli di via delle Signora 3. Titolo dell'incontro: “Aspetti di genere del quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei rom”. Interverranno anche l'europarlamentare Patrizia Toia, Marco Granelli, assessore alla Sicurezza del Comune di Milano e il sociologo Maurizio Ambrosini.

boxMariela ha iniziato a cambiare vita quando è arrivata al Ceas con la sua famiglia e ha deciso di partecipare al progetto Oltenia, un laboratorio di produzione di pane e dolci, cominciato un anno e mezzo fa e portato avanti grazie alla collaborazione con un panettiere professionista. Il Ceas ha cominciato a distribuire il pane del laboratorio attraverso un Gruppo di Acquisto Solidale milanese e in diverse altre occasioni, proponendo i suoi prodotti a circoli Arci e Acli, partecipando, grazie alle stesse Acli milanesi, alla fiera “Fa' la cosa giusta”. E spingendosi fino al Piccolo Teatro dove, in occasione di un incontro della rassegna “Ulissi” con Marco Paolini, Eva Cantarella e don Virginio Colmegna, hanno distribuito dei piccoli panini a tutti i partecipanti. Anche in quel caso, Mariela era presente, più sicura e sorridente rispetto al passato. "Lei e le altre donne coinvolte hanno acquisito competenze e maggiore fiducia -racconta la coordinatrice del progetto Benedetta Castelli-. Hanno imparato le norme igieniche di un laboratorio alimentare e migliorato il loro italiano; hanno perfezionato diverse ricette e trovato nuovi stimoli. Sono diventate protagoniste”. Per Mariela il laboratorio è stato un trampolino di lancio verso una vita più dignitosa. Tanto che ora lavora in un grande albergo.

Secondo il "Rapporto nazionale sull'inclusione lavorativa e sociale dei rom in Italia”, pubblicato nel 2012 dalla Fondazione Casa della carità, il 19% delle persone rom residenti in Italia non sa né leggere né scrivere: tra le donne però l'analfabetismo è più elevato che tra gli uomini: 25% contro 14%. Allo stesso modo, mediamente, il 34% dei rom non possiede alcun titolo di studio, un dato che sale al 40% per la componente femminile e scende al 28 per quella maschile. Il tasso di occupazione dei rom è del 34,7%. Gli occupati irregolari sono il l'11% del totale. Quelli regolari il 19%. Delle donne rom, però, solo una su cinque risulta occupata.

"Prima sapevo pochissimo italiano. Non sapevo nemmeno leggere. Ora invece si”, ammette Ana. Prima che iniziasse a lavorare per la Cooperativa IES probabilmente non sapeva nemmeno come si dicesse “taivè” in italiano e, invece, poi, ha scoperto che quella parola in lingua romanì si traduce “filo”. E grazie a quel filo è riuscita a guadagnarsi tanta fiducia e una certa autonomia. Ana, infatti, è una delle donne rom inserite nel progetto Taivè, il ramo femminile di sartoria e stireria della più ampia Cooperativa sociale IES (che con gli uomini si occupa di recupero e riuso di bancali). Il progetto è nato grazie alla collaborazione con Caritas Ambrosiana e al rapporto che l'organizzazione, lavorando nei campi cittadini, aveva già instaurato con molte di loro e con le loro famiglie.

Ad oggi, sono in otto a tagliare, cucire e stirare con un orario part time nel laboratorio di via Eugenio Carpi a Milano. Dal 2008, anno in cui il progetto ha preso il via, però, alle macchine da cucire di Taivè si sono sedute diciannove donne, dai 20 ai 50 anni, provenienti da Romania, Macedonia e Kosovo. Di queste, oltre alle otto lavoratrici attuali, due donne hanno trovato autonomamente lavoro dopo il periodo di formazione e altre sei, dopo essere state per un periodo con Taivè, sono passate ad altre occupazioni temporanee. Complessivamente diciassette donne sono riuscite, negli anni, ad aprire un conto in banca e a trovare una sistemazione abitativa stabile per loro e per le loro famiglie. Un miglioramento per gli interi nuclei famigliari, ma anche per le donne stesse. Lo spiega orgogliosamente Anita. “Se penso alla vita di mia nonna, la mia è sicuramente migliore. Prima le donne rom non lavoravano fuori casa, dovevano badare alla famiglie a, al massimo, fare l'elemosina. Io no”. (dp) 

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