Il soccorso in mare spiegato ai ragazzi dello Zen: "Non chiamiamoli più clandestini"
L'incontro alla scuola media Leonardo Sciascia, quartiere Zen di Palermo
L'incontro presso la scuola media Leonardo Sciascia |
PALERMO - Accoglienza degli immigrati vuol dire sfatare prima di tutto i tanti pregiudizi e luoghi comuni che etichettano gli stranieri come chi delinque o come coloro che vengono a togliere il lavoro agli italiani. E' il concetto emerso stamattina nel plesso della scuola media Leonardo Sciascia ubicata nel quartiere Zen di Palermo, durante un incontro sul tema dell'immigrazione. A parlare sono stati invitati esponenti della Capitaneria di Porto e della Caritas, realtà che a vario livello hanno curato la fase di primo soccorso dei migranti giunti sulle coste e poi quelle relative alla prima accoglienza.
"Una giornata che abbiamo voluto per fare capire meglio - afferma il preside Giuseppe Granozzi - che l'immigrazione è un fenomeno che va compreso in tutti i suoi aspetti anche al di là dell'immagine che viene mostrata dai mass-media. Un modo per capire dove stiamo andando e quanto impegno ancora ci viene richiesto per aiutare chi arriva da noi". "Lavorare con questi nostri ragazzi che passano gran parte della loro giornata in strada non è facile ma quando ci riusciamo anche affrontando temi come questo siamo molto soddisfatti - afferma il docente Giovanni Galatolo, referente per i progetti sulla legalità da 7 anni -. Il quartiere dei nostri studenti è sicuramente svantaggiato e presenta delle problematiche molto forti che vivono anche le famiglie. Cerchiamo di impegnare i nostri giovani anche in laboratori pomeridiani che possano distoglierli da altre cose. Purtroppo uno dei disagi di molti di loro è che non escono dal quartiere pertanto iniziative come questa ma anche come quelle finalizzate a farli uscire fuori sono importanti per capire che esiste altro".
Ad aprire i lavori è stato il maresciallo Maurizio Giglio, della guardia costiera di Palermo che ha spiegato ai ragazzi tutte le operazioni di salvataggio in mare dei naufraghi. "Nel nostro lavoro di salvataggio - spiega - abbiamo affrontato con le nostre unità anche il mare in tempesta pur di salvare le vite ai migranti che erano alla deriva. Procedere alle operazioni di soccorso è molto impegnativo e ha richiesto un dispiegamento di forze non indifferente. Sicuramente il nostro lavoro è il primo passo fondamentale, di cui ci sentiamo orgogliosi, che riesce a cambiare il destino di questi migranti".
"La speranza di tanti nostri amici migranti diventa certezza proprio in seguito al primo soccorso effettuato dalle navi della capitaneria di Porto - afferma padre Sergio Mattaliano, direttore della Caritas palermitana -. Quest'anno ci siamo interrogati per capire come potevamo rispondere a chi arrivava in Sicilia. Da qui la nostra scelta di dare la disponibilità alla prefettura per garantire la prima accoglienza. Sicuramente in tutti questi mesi abbiamo avuto dei periodi molto impegnativi ma anche molto ricchi di soddisfazioni. Adesso non ci dobbiamo fermare ma bensì unire tutti i nostri sforzi per accompagnare verso la piena integrazione e il completo inserimento sociale i nostri amici migranti che hanno deciso di rimanere a Palermo. Ciò significa metterli nella condizione di imparare bene la nostra lingua e inoltre creare delle possibilità di lavoro. L'immigrato deve essere visto come fonte di grande arricchimento culturale e sociale. Chi viene da noi ci chiede aiuto, non delinque e soprattutto non viene a togliere il lavoro agli italiani ma anzi può spendersi nella maniera migliore per il bene di tutti".
A raccontare ai ragazzi una parte della sua esperienza sono stati Jenny e Mohamed, due fratelli originari del Mali che hanno vissuto e lavorato in Libia e che sono ospiti in un centro di accoglienza della Caritas.
"Sono arrivato al porto di Palermo anche senza scarpe e voi mi avete accolto nel migliore dei modi dandomi tutto quello di cui avevo bisogno - racconta Jenny -. Mi sono diplomato nel mio paese in contabilità ma in seguito alla guerra mi sono trasferito in Libia dove ho lavorato come gessista. Dopo la caduta di Gheddafi sono iniziati i problemi molto seri per noi africani. E' cresciuto fortemente il razzismo nei nostri confronti che ti impediva di fare tutto. La Libia è cambiata diventando un luogo di armi e violenza. Così su consiglio di mio padre io e mio fratello abbiamo deciso di raccogliere i soldi per affrontare il viaggio per l'Italia". "Sono solo all'inizio del mio percorso e l'unica cosa che mi sento di dire - aggiunge Mohamed emozionato -. è solo grazie per la possibilità che ci state dando".
Parlare di immigrazione significa anche allontanare tutte le espressioni anche errate con cui vengono spesso etichettati i migranti come sostiene l'ammiraglio Vincenzo Pace. "La prima battaglia è quella di non parlare più di immigrazione clandestina - sottolinea - perchè sappiamo in che condizioni vivono e partono e la loro è una scelta forzata. Siamo di fronte ad un fenomeno normale di popoli che si mettono in movimento per raggiungere condizioni di vita migliori. I loro problemi sono i nostri problemi che dobbiamo affrontare insieme soprattutto quando pensiamo allo sfruttamento vergognoso che c'è dietro la loro sofferenza. Per tutto questo ci affidiamo anche ad una buona programmazione politica che affronti bene il tema". (set)