28 ottobre 2010 ore: 13:40
Immigrazione

Immigrati, Ambrosini: “Siamo pieni di utili invasori”

Il sociologo avverte: “Contestiamo una società multietnica, ma allo stesso tempo la fomentiamo. In contraddizione ciò che facciamo e ciò che pensiamo”. Tra i figli delle immigrate rimasti in patria cresce il disagio: “Partenza letta come abbandono”
Antonio Zambardino/Contrasto Immigrazione: folla di stranieri

Immigrazione: folla di stranieri

PADOVA – L’immigrato che accudisce il nonno o ci pulisce casa non è un pericolo per la società, tutti gli altri sì. È questo il controsenso che contraddistingue gli italiani, restii a riconoscere che “l’altro” è anche la persona che conoscono, cui danno un lavoro. Dandole un nome e un cognome tendono ad accorciare le distanze e a non pensare di essere parte attiva di quel  multiculturalismo che fa tanta paura. È su queste palesi contraddizioni che insiste Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università di Milano, tra i relatori di “Fare inte(g)razione tra enti locali, scuola e comunità”, tredicesimo convegno dei centri interculturali d’Italia, in corso fino a domani a Padova.
Professore, lei oggi ha parlato dei nodi di un’integrazione “inevitabile”. Quali sono?
Il principale è riuscire a metterci d’accordo su ciò che facciamo e su ciò che pensiamo. Il centro-nord Italia - ma sempre più anche i territori marginali - accoglie numeri impressionati di immigrati nel mondo del lavoro e in larga parte si tratta di famiglie che cercano assistenza ai propri anziani. Poi però quelle stesse comunità rifiutano di ripensarsi come società multietniche.
 
Praticamente il “nemico” lo abbiamo in casa… e lo sfruttiamo.
Il punto è questo: siamo pieni di “utili invasori”: lo si vede negli uffici, nei centri di servizi, quando ci sono le sanatorie, i decreti flussi… famiglie che vanno a mettere in regola la persona che lavora per loro e si accorgono che è piena di problemi e si arrabbiano pure, perché pensano che leggi come quella sull’immigrazione non riguardino mai loro, ma sempre gli altri. Non pensano che la loro badante è irregolare, non la percepiscono come un problema o un pericolo. È qui la contraddizione stridente, che le persone cercano di risolvere dando un nome e un cognome, riscattando quella persona dal fantasma generale dell’immigrazione clandestina.
 
Restando sulla situazione delle badanti, si tratta di madri che lasciano in patria figli che, sempre più spesso, manifestano un disagio.
C’è tutta una crescente letteratura sulle famiglie transnazionali. Quelle signore che sono così utili alle nostre famiglie partono togliendo alle loro famiglie un perno. Certo, è vero che una parte consistente viene già da famiglie disgregate, costrette a partire proprio perché rimaste da sole a farsi carico dei figli. Ma è vero anche che crescono le grida d’allarme in tutti i paesi d’origine sulla destrutturazione sociale che ne deriva. Tanto che queste donne spesso vengono colpevolizzate nei luoghi d’origine come se avessero abbandonato i figli, mentre invece spesso la partenza è un gesto estremo d’amore.
 
Madri che poi, anni dopo, riescono a ricongiungersi. Che problemi incontrano?
La situazione è problematica perché devono ricongiungersi con figli adolescenti, perché troppo piccoli non riescono a portarli in Italia: devono essere almeno un po’ in grado di pensare a se stessi. Quindi ci troviamo con queste precarie famiglie di madri che lavorano tutto il giorno e in alcuni casi anche la notte e che portano qui sedicenni che magari nel loro paese hanno iniziato a dare segni di disagio…
In questo contesto la scuola cosa può fare?
La scuola fa fatica. Intanto gli adolescenti tendono a concentrarsi nei rami bassi dell’istruzione superiore e si formano classi di ragazzi immigrati con poche risorse per progetti di accompagnamento. In provincia di Milano una dozzina d’anni fa c’era un mediatore ogni 50 ragazzi di origine immigrata, ora ce n’è circa uno ogni 600. (gig)
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