Immigrazione, il "contratto" spaventa le associazioni: "Ci aspettano tempi bui"
ROMA - Riduzione dei flussi verso l'Italia puntando a una condivisione in chiave europea degli approdi e della gestione complessiva, trasparenza sui fondi destinati ai centri che accolgono i richiedenti asilo, meno risorse per l'accoglienza (da ricondurre alla gestione pubblica) e più fondi per il capitolo rimpatri, con la previsione in ogni regione di almeno una"sede di permanenza temporanea finalizzate al rimpatrio", esternalizzazione delle frontiere, registro dei ministri del culto religioso, prediche in italiano, referendum consultivi in ogni regione prima di aprire una nuova moschea. Sono questi i punti chiave messi nero su bianco nel contratto di governo stipulato da Matteo Salvini, leader della Lega e Luigi Di Maio, a capo del Movimento cinque stelle.
Nello specifico, il documento (che sarà sottoposto nel week end al vaglio degli elettori dei due partiti) dedica al fenomeno migratorio due pagine, che partono dall'assunto che la situazione in attuale è "insostenibile per l’Italia, visti i costi da sopportare e il business connesso, alimentato da fondi pubblici nazionali spesso gestiti con poca trasparenza e permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata".
Arci: "ci aspettano tempi bui". Questo approccio al fenomeno, e alcune delle misure previste, hanno già messo in allarme le organizzazioni che in Italia si occupano di migranti e rifugiati. Per la presidente di Arci Francesca Chiavacci "l'impianto generale fa pensare che ci aspettano tempi bui. L'idea di fondo è chiara e in alcuni tratti seminascosta da piccole cose, anche condivisibili ma dovremo presto organizzarci per contrastare questo tipo di visione d'insieme, in cui l'immigrazione è ancora qualcosa di emergenziale". Per Chiavacci in molti punti ci sono solo "proclami". "Non si spiega come pensano di fermare il fenomeno - aggiunge - molta parte del documento è pura propaganda: anche quando si parla di rimpatri, è oggettivamente un programma di difficile attuazione. Così come il superamento del regolamento Dublino, che non decide di certo il governo italiano". Tra le parti condivisibili per Chiavacci la trasparenza nella gestione dell'accoglienza: "Siamo noi i primi a dirlo da anni - spiega -i nostri bilanci sono pubblici e la rendicontazione la facciamo sempre". A spaventare è invece la parte dedicata alle persone di religione musulmana: "Il referendum sulle moschee è chiaramente anticostituzionale: nel nostro paese la libertà di culto è garantita -continua -. Nel testo c'è un'assimilazione tra moscheee e associazioni islamiche radicali, che ci preoccupa perché si vorrebbe far passare che il culto dell'islam è produttore di terrorismo". Sulla stessa scia anche il vicepresidente Filippo Miraglia, che parta chiaramente di un "orientamento fascioleghista sui diritti e sulla sicurezza". "Questo preoccupa sul piano culturale, sappiamo infatti che alcune cose annunciate resteranno solo degli annunci: i centri di detenzione per il rimpatrio degli stranieri sono stati già previsti da Minniti in ogni regione - sottolinea - il resto dovrà essere fatto nel rispetto delle regole italiane e internazionali. Altrimenti, se pensano di fare espulsioni di massa, dovremo aspettarci nuove condanne per il nostro paese. Credo più realisticamente che continueranno a praticare la strada dell'esternalizzazione delle frontiere, portando avanti quanto già fatto dal precedente governo".
Caritas: "Niente di nuovo, tanti governi promesso stesse cose senza guardare alla realtà che stiamo vivendo". Per Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana e Caritas Europa, "non c'è nulla di nuovo sotto il cielo: tanti governi hanno promesso di aumentare i rimpatri ma nessuno riuscito a farloperché è una strada non tecnicamente praticabile, c'è bisogno della collaborazione dei paesi di origine che molto spesso manca o è debole - spiega -. Oltre a questo si tratta di una politica dai costi elevati, per questo da sempre diciamo che varrebbe la pena investire in programmi di integrazione piuttosto che nelle espulsioni - prosegue Forti -: spesso chi viene espulso o rimpatriato forzatamente ce lo ritroviamo dopo qualche anno in Italia. Meno accoglienza più rimpatri, è uno slogan che non fa i conti con la realtà che stiamo vivendo, con i canali ancora aperti, con l'arrivo di persone richiedenti asilo che devono essere salvate e accolte, al di là della volontà dei singoli paesi". Anche per Forti in alcuni punti il programma ricalca quanto annunciato già dal precedente ministro degli Interni Marco Minniti: "i cpr in ogni regione non sono stati realizzati perché serve un accordo con le regioni. Penso che anche questo piano si scontrerà con i limiti e le difficoltà dei governi precedenti". Anche al responsabile di Caritas preoccupa la parte relativa all'islam: "è una proposta che rischia di essere incostituzionale - spiega - ci sono oggi in Italia tanti luoghi culto irregolari, cioè non registrati, perché non è stato fatto un percorso per regolamentare il diritto fondamentale di culto. Laddove invece questo è stato fatto, penso alla moschea di Roma, ha portato solo benefici".
Asgi: "Apparato normativo italiano già fortemente repressivo e inefficace". Gianfranco Schiavone, vicepresidene di Asgi, ricorda che la normativa italiana in materia di immigrazione è già "terribilmente rigida e ha sempre prodotto un numero enorme di irregolari, ma per rispondere a questo problema non si è mai messo mano all alegge ampliando i canali regolari di ingresso e regolarizzando i percorsi positivi di inclusione sociale e lavorativa degli stranieri. Al contrario ci si ostina a trovare come unica risposta un’espulsione impossibile in primo luogo perché ne viene snaturata la finalità giuridica che dovrebbe avere: l’espulsione, infatti è un provvedimento estremo che dovrebbe essere preso solo nei confronti delle persone che, per motivi di sicurezza pubblica o altre serie ragioni e del disagio sociale, non possono essere riassorbiti nel tessuto sociale”. Per tutti gli altri stranieri irregolari (la grande maggioranza) una norma equa e ragionevole deve puntare a favorire la loro regolarità e non il contrario. L’Italia, invece, ha una legge connotata da un apparato repressivo molto forte: “L’espulsione con immediata esecutività (ovvero che può essere attuata persino prima della decisione sull’eventuale ricorso) è infatti già la misura ordinariamente prevista dalla legge - aggiunge il giurista-. Ed è così fin dal 2002, dalla legge Bossi-Fini. Mentre il recente decreto Minniti-Orlando non ha apportato delle modifiche significative, sia sotto il profilo dei presupposti per l’emanazione dei decreti di espulsione, sia sotto il profilo delle modalità di esecuzione. Quello che sorprende quindi è come il dibattito politico (trasversalmente tra le diverse forze politiche), sia caratterizzato da una incapacità di elaborazione e dalla riproposizione ossessiva delle stesse proposte, senza che ci si interroghi sul fallimento dell’impianto giuridico di base”. (ec)
(aggiornato il 18/05/2018, ore 12)