Al Senato approvati in Commissione nuovi emendamenti al ddl delega che si avvicina a sbarcare in Aula. Torna la “difesa non armata della patria” come base del servizio civile, al quale sono ammessi anche i giovani stranieri regolarmente soggiornanti. Chiariti i limiti di azione delle imprese sociali
ROMA –
Nuovo passo avanti per la riforma del Terzo settore. Tre nuovi articoli –
dopo i quattro della scorsa settimana – sono stati affrontati dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, che ha dato il via libera ad altri 16 emendamenti al testo approvato dalla Camera undici mesi fa. La gran parte presentati dal relatore Stefano Lepri con il parere favorevole del governo (rappresentato, nella seduta di ieri pomeriggio, dal sottosegretario al Lavoro e Politiche sociali Franca Biondelli). A questo punto,
mancano all’appello – a parte gli ultimi due articoli sulle disposizioni transitorie e sulla relazione al Parlamento –
solo due grandi partite: quella del riordino e revisione della disciplina del Terzo settore (con la previsione di un Codice del Terzo settore) e quella sulle misure fiscali e sulle agevolazioni. Il passaggio in Aula è sempre più vicino.
Con le ultime votazioni, quindi, è stato definito il quadro relativo all’impresa sociale, alla vigilanza e controllo, e all’istituzione del servizio civile universale.
Impresa sociale. Cambia, rispetto al testo della Camera, il riferimento alle attività svolte dall’impresa sociale, che dovrà essere qualificata dai decreti delegati come “organizzazione privata che svolge attività d’impresa per le finalità” indicate dal primo articolo della legge, quello che parla di “finalità civiche e solidaristiche” e di realizzazione di “attività di interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale” o altre forme di mutualità. La delega non prevede più un “ampliamento dei settori di attività di utilità sociale”, ma una semplice “individuazione dei settori in cui può essere svolta l’attività d’impresa”: sparisce dal testo, ad esempio, il riferimento esplicito al settore del commercio equo e solidale. Non si parla più di “ripartizione degli utili”, ma è confermato il mandato al governo di prevedere “forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili allo svolgimento delle attività statutarie, da assoggettare a condizioni e limiti massimi in analogia con quanto disposto per le cooperative a mutualità prevalente”. Il governo dovrà anche prevedere il “divieto di ripartire eventuali avanzi di gestione per gli enti per i quali tale possibilità è esclusa per legge, anche qualora assumano la qualificazione di impresa sociale”. In aggiunta a quanto stabilito alla Camera viene poi previsto che l’organizzazione che esercita l’impresa sociale debba redigere il bilancio ai sensi del codice civile (art. 2423 e segg.). Infine, viene chiarito meglio il mandato al governo a ridefinire le categorie di lavoratori svantaggiati: dovrà essere prevista una “graduazione dei benefici” finalizzata a favorire le categorie maggiormente svantaggiate. Il tutto coerentemente con la definizione di “lavoratore svantaggiato” che dà la legge 381/1991 sulle cooperative sociali.
Vigilanza, monitoraggio, controllo. Rimane pressoché immutato, rispetto al testo della Camera, il sistema di verifica, che non vede alcuna istituzione di una nuova Authority ma affida i compiti più importanti in tal senso al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Il quale, nelle sue varie deliberazioni, dovrà avvalersi del coinvolgimento e del raccordo del nuovo organismo previsto dal ddl, quel “Consiglio nazionale del Terzo settore” che viene descritto come “organismo unitario di consultazione degli enti di Terzo settore a livello nazionale”. Viene aggiunto inoltre un riferimento temporale, prevedendo che tutti i “termini” e le “modalità” per il “concreto esercizio della vigilanza, del monitoraggio e del controllo” dovranno essere definiti in un decreto del Ministero del Lavoro da adottarsi entro 60 giorni dalla “completa attuazione della presente legge”.
Servizio civile. Entra nel testo il riferimento alla “difesa armata della patria” mentre fra i giovani che potranno partecipare ai progetti spuntano anche quelli stranieri regolarmente soggiornanti: due punti sui quali a lungo si è discusso nell’ultimo biennio e che entrano ora a pieno titolo nel testo del ddl. Il servizio civile universale continua ad essere fondato sugli articoli 52 primo comma e 11 della Costituzione, ma non è più “finalizzato alla difesa dei valori fondativi della patria” ma “alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Contestualmente sparisce (giudicato evidentemente ridondante, incoerente o non più necessario) il riferimento esplicito alla “realizzazione di esperienze di cittadinanza attiva, di solidarietà e di inclusione sociale”. Il servizio civile riguarderà giovani dai 18 ai 28 anni, italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, che saranno ammessi al servizio tramite bando pubblico. Gli emendamenti approvati in Commissione al Senato chiariscono anche meglio le competenze fra Stato, regioni ed enti locali o pubblici: non è più previsto un generico “coinvolgimento” ma viene esplicitamente attribuita allo Stato la “funzione di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile universale”, prevedendo la “realizzazione, con il coinvolgimento delle Regioni, dei programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed enti di Terzo settore”. Inoltre viene data la “possibilità per le Regioni, gli enti locali, gli altri enti pubblici territoriali e gli enti di Terzo settore di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati”. Aumenta anche l’attenzione alla trasparenza delle procedure di gestione e valutazione dell’attività svolta dagli enti accreditati, che dovrà riguardare anche i contributi erogati dal Fondo per il servizio civile. Infine, viene stabilito anche che il governo dovrà procedere al “riordino e revisione della Consulta nazionale per il Servizio civile universale”, presentata come “organismo di consultazione, riferimento e confronto per l'Amministrazione, sulla base del principio di rappresentatività tra tutti gli enti accreditati, anche con riferimento alla territorialità e alla rilevanza per ciascun settore di intervento”. (ska)