29 luglio 2013 ore: 11:53
Immigrazione

Invisibili e sfruttati: viaggio tra i braccianti Sikh di Latina

Caporalato, sfruttamento e abusi ai danni dei migranti del Punjub. Amnesty International: ''Colpa del decreto flussi e del reato di clandestinità''. Marco Omizzolo (In Migrazione): ''Si riparta con la legge Rosarno e col ripristino dei diritti umani nell’Agro-pontino''
Gabriele Rossi/Contrasto Visit india foto 2

Hardeep posa sul letto dopo la vestizione del turbante. Sabaudia, Latina - Agosto 2010

boxROMA - Un esercito gentile e silenzioso, con la fronte fasciata da turbanti colorati popola da trent’anni le campagne della provincia di Latina, fra Sabaudia, San Vito, Fondi e il Parco Nazionale del Circeo. Sono i braccianti della seconda comunità Sikh più grande d’Italia. Un’umanità nascosta fra le campagne e chiusa in un universo parallelo, popolato da storie di mancata integrazione, per motivi linguistici e l’isolamento sociale, e da persone alla mercè di caporalato e violazione dei diritti umani. Per tutti il cognome è Singh. Il paese d’origine il Punjab, l’antica terra dei cinque fiumi situata a cavallo fra l’India e il Pakistan, nota un tempo come il granaio dell’India e da dove, secondo il dossier dell’associazione In Migrazione Onlus “Panjub - Fotografia delle quotidiane difficoltà di una comunità migrante invisibile”, ogni anno oltre 20 mila giovani migrano, soprattutto in Italia, affrontando viaggi durissimi, attraverso India, Russia, Germania, Francia, contraendo debiti da pagare accettando qualsiasi impiego e condizione.

boxGiunti nella provincia di Latina negli anni Ottanta, secondo le stime della Cgil oggi contano circa 12 mila persone, 30mila fra regolari e irregolari, preda di un sistematico sfruttamento: salari miseri, ricatti, riduzioni arbitrarie delle paghe, stipendi non corrisposti. I lavori tutti dominati dalle cosiddette “cinque P”: pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e penalizzati socialmente. In base a quanto riportato dal dossier di Amnesty International “Volevamo braccia e sono arrivati uomini - Sfruttamento lavorativo dei braccianti agricoli migranti in Italia”, secondo il contratto provinciale fatto tra sindacati e organizzazioni di imprenditori agricoli, i braccianti dell’area di Latina dovrebbero lavorare 6.5 ore al giorno, sei giorni la settimana, per un salario orario lordo di 8.26 euro (tra 5.60 e 6.60 euro al netto). “Si lavora fino alle 10 -11 ore al giorno, anche sette giorni la settimana”, spiega Marco Omizzolo, sociologo delle migrazioni, che ha collaborato con Francesca Pizzutelli alla stesura del rapporto di Amnesty International. La paga va dai 2.5 ai 5 euro l’ora. I ‘padroni’, come i datori di lavori si fanno chiamare dai Sick, non pagano nè ferie né infortuni sul lavoro. “Chi si fa male viene lasciato sul ciglio della strada. Poi ci sono le malattie professionali, causate da pesticidi e diserbanti”. Altri vengono licenziati per aver chiesto un giorno di permesso. Malmenati e derubati il giorno di paga; travolti dalle auto sulla statale Pontina, mentre a piedi o in bici si recano nei campi. 

La carenza di servizi porta la comunità a chiudersi in ghetti sociali ed etnici, terreno per fenomeni di caporalato gestiti da padroni italiani e alcuni lavoratori indiani, ai danni dei migranti più fragili. “Si arriva a chiedere fino a 10 euro al giorno”,  riferisce Omizzolo, anche coordinatore di Legambiente per la provincia di Latina. “Scoperto di recente un giro di compravendita di nulla osta per ottenere visti d’entrata falsi messo in atto da impiegati pubblici e intermediari. Estorti fino a 4.500 euro a contratto di soggiorno”. Ad esasperare il rischio di sfruttamento anche il Decreto flussi, che espone gli irregolari ad intimidazioni, per la necessità di un contratto per il rinnovo del permesso di soggiorno. “E se il crimine di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, introdotto nel 2011 colpisce solo i caporali e non i datori di lavoro – ribadisce  - anche la legge Rosarno ha fallito. Pochissime le denunce in Italia. Solo in Provincia di Latina, si potrebbero incriminare almeno 300 imprenditori. E’ da li che si dovrebbe ripartire”.

Creata per spezzare il caporalato, la legge Rosarno (dl n.109 del 16/07/2012) ha introdotto alcune aggravanti al crimine dell’impiego di lavoratori migranti irregolari. Ma per Amnesty International elude gli obblighi internazionali tesi a proteggere il diritto di ogni individuo di godere di giuste condizioni lavorative, garantito dal Patto internazionale ai diritti economici, sociali e culturali. Fra le raccomandazioni dell’Unione Europea omesse poi, quelle riguardo l’esclusione delle aziende incriminate da sussidi e appalti pubblici, dai finanziamenti Eu. Inoltre la chiusura degli stabilimenti e la revoca delle licenze.

Mi sono finto bracciante per verificare personalmente le condizioni di lavoro dei lavoratori Sikh”, rivela Marco Omizzolo. “Il migrante ha paura ad esporsi. Molti, non avendo i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno, rischiano la permanenza nel paese. Poche ed inefficaci inoltre le ispezioni, temute dagli irregolari per il reato di ingresso e soggiorno illegale, introdotto dal Pacchetto Sicurezza nel 2008, che crea ostacoli alla tutela dei diritti sul lavoro insormontabili”. E conclude”: La Regione Lazio ha lanciato di recente una proposta interessante. Oltre alla necessità di cancellare il reato di clandestinità, ha proposto una riforma agraria per riqualificare, sul piano produttivo, circa 300 mila ettari di terreno regionale inutilizzati, da assegnare a cooperative di italiani e migranti. Un provvedimento però che, per risultare efficace, deve fornire  strumenti di formazione e d’integrazione reale”. (Loredana Menghi)

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