Io sto con la sposa. “Non sapevamo più come urlare l’orrore della guerra”
Milano. Gli sposi e gli invitati ripassano il piano intorno a una mappa, la sera prima della partenza.
ROMA – “Io sto con la sposa. Noi stiamo con la sposa. Ma ci stavamo già da prima. Solo che non lo sapevamo. Non sapevamo che era così divertente. Disobbedire. Attraversare le frontiere. Fare politica con gioia. Con un'idea, con amici. Con sfida, fiducia, amore. Col Mediterraneo di morti in casa sullo stomaco e uno spazio Schengen sulla carta da scarabocchiare”. Marta Bellingreri è una delle protagoniste di “Io sto con la sposa”, il film documentario di Gabriele Del Grande, Antonio Augugliario e Kalhed Soliman Al Nassiry, che racconta la storia del finto corteo nuziale che ha attraversato l’Europa, facendosi beffa dei controlli alla frontiera, per permettere a cinque palestinesi siriani di raggiungere la Svezia. Marta, nel film è una dei finti invitati al matrimonio della sposa siriana Tasneem, ma lei in Siria, Libano, Egitto, Palestina e Giordania ci ha vissuto realmente. Ha lavorato anche come mediatrice culturale con minori migranti a Lampedusa e a Roma, e scritto insieme alla sindaca Giusy Nicolini il libro "Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti". A Redattore sociale ha inviato una lettera per raccontare le emozioni vissute durante il viaggio.
“Quello che non sapevamo – scrive- è che alla domanda di una parrucchiera a Milano: sono rifugiati? potessimo rispondere che no, sono famosi attori palestinesi!. Non sapevamo che arrivati in Francia i passanti ci urlassero inconsapevoli "Felicitations pour le mariage", anziché chiederci i documenti. Non sapevamo che i nostri amici palestinesi potessero chiedere l'asilo in giacca e cravatta, con fiocchi e bouquet, anziché appena sbarcati, stremati da 48 ore di mare e marea. Non sapevamo che potessimo brindare tra amici siriani che non si vedevano da venti anni, separati da dittature, campi profughi e frontiere. E che accanto a loro ci fosse un'Europa giovane che freme per essere più mediterranea che mittleuropea”.
“Sapevamo che c'era e che c'è l'orrore – continua Marta nella sua lettera - Sì, c'è ancora l'orrore. Morte e orrore di una guerra lontana in Medio Oriente, ma vicina a chi la Siria l'ha vista in piedi. Chi ha visto la moschea di Damasco, la cittadella di Aleppo, i mulini di Hama, chi è andato per gli scavi archeologici, chi ha studiato arabo, chi ha scattato all'alba a Palmira, chi ha soggiornato, ballato, bevuto un caffé nel paese più bello del mondo arabo. Il paese del fiume Eufrate, ora distrutto dall'insensatezza. La Siria, dove avremmo voluto fotografare gli odori, prima di sapere un giorno che l'unico odore rimasto sarebbe stato quello delle cartucce e del piombo. E la luce, ormai sempre accesa, che prima trafiggeva di bellezza il mercato di Aleppo.Qualcuno forse sapeva che c'era un campo di palestinesi a Damasco, il più grande della Siria e che là si moriva di fame, sotto le bombe. E che un giorno avremmo trattenuto le lacrime a quei racconti. Quando quella guerra sbarca in Sicilia, si infiltra nelle stazioni delle nostre città, si umilia di fronte a chi non accoglie. E logora nelle case di chi le apre. Un lutto irrisolto nel Mediterraneo.”
“Sapevamo che non tutti possono viaggiare liberamente. Che ci si mette in mare pensando di spedire i soldi ai propri genitori o ai propri figli. Che bisogna arrivare in Nord Europa per un giorno sperare di vedere i Fori Imperiali a Roma o le Piramidi d'Egitto con una cittadinanza svedese. Sapevamo che era tutto così difficile. Ma non sapevamo più come raccontarlo. Come denunciarlo. Come urlarlo. Ancora a scrivere libri e reportage in cui dover trovare sinonimi alle parole morte e libertà, come dei vecchi cronisti di una guerra irrisolta da anni nel vicinato, frantumati dall'indifferenza dei connazionali. Ma le parole morte e libertà non hanno sinonimi. It must have been love...ma è un film. E oltre alla morte e alla libertà, sì, c'è pure l'amore. L'amore che Tasneem, la sposa, è riuscita a vedere per due anni e mezzo in mezzo alle bombe di Damasco, scegliendo di restare. L'amore di chi ha dovuto vedere la propria città distrutta per realizzare il sogno di vivere in Italia. L'amore di un padre che vuole che il figlio diventi un famoso rapper per salvare il resto della famiglia con un ricongiungimento familiare. L'amore di un sopravvissuto di fronte ai cadaveri degli annegati, salvato dall'acqua e annegato dal silenzio della tragedia – continua la lettera- C'era da sempre l'amore di tutti noi, solo che non lo sapevamo che era così vero, possibile. Come questa storia: ‘Fantastica. Eppure dannatamente vera’. Io sto con la sposa. Ora sappiamo tutto. Ora lo sappiamo. Ai miei occhi rimane intatta quella bellezza”.
“L'Europa dal 2011 a maggio 2014 ha accolto 89,000 siriani e palestinesi fuggiti dalla Siria in guerra, solo il 4 per cento del totale dei rifugiati. – conclude Marta- Il vicino Libano ne accoglie più di un milione, la Turchia quasi ottocento mila. Oggi, dal Marocco alla Turchia, cittadini siriani pagano dai mille ai quindicimila euro per approdare nel vecchio continente, via terra e via mare. La Svezia e la Germania ne accolgono il 55 per cento. Gli ingressi irregolari sono ancora penalizzati, la Convenzione di Dublino è rigidamente applicata, continuano test sulla nazionalità e si registrano casi di detenzione. La lista di numeri, spari e obbrobri potrebbe continuare. Possiamo cambiarla chiamandoci per nome. Mettendoci i nostri. Tasneem, Abdallah, Mona, Ahmed, Abu Manar e Mc Manar, Khaled, Gabriele, Tareq, Antonio, Rachele, Chiara, Elena, Marco, Marta, Daniele, Ruben, Gina, Silvia, Valeria, Gianni, Marco, Valentina, Tommaso, Alex, Nefeli”.