18 novembre 2008 ore: 11:58
Giustizia

L'inferno degli schiavi polacchi tra i pomodori della Puglia

In migliaia sfruttati e violentati per pochi spiccioli. Esce ''Uomini e caporali'', di Alessandro Leogrande. Dalla sentenza di Bari nel primo processo europeo contro i caporali la radiografia di un fenomeno terribile, ma tollerato
Io schiavo in Puglia immigrato e contadino

Io schiavo in Puglia immigrato e contadino

CAPODARCO DI FERMO - Il 22 febbraio del 2008 il giudice Lovecchio del tribunale di Bari emette la sentenza di primo grado del primo processo penale in Europa contro un’associazione transnazionale di “caporali”. Vengono condannati a 10 anni di reclusione 5 capicellula, per aver ridotto centinaia di braccianti in stato di schiavitù sui campi di pomodori della Capitanata, in Puglia. Vari loro complici, e sottoposti, subiscono pene tra 4 e 5 anni.

E’ un evento storico nella lotta a questa forma di criminalità, nuova eppure molto antica, maturato oltretutto in un contesto legislativo molto fragile. Ma, in Italia, se ne interessa solo la stampa locale pugliese; su quella nazionale la vicenda compare in genere su trafiletti, come una notizia giudiziaria di routine. Non fa così la stampa polacca, che la segue con grande rilievo da oltre due anni dato che i braccianti schiavizzati erano in maggioranza polacchi, e dato soprattutto che da quelle campagne risultano scomparse quasi 100 persone partite dal paese neocomunitario nella speranza di guadagnare un po’ di soldi con la raccolta dell’“oro rosso”.

 

La storia degli schiavi polacchi e delle condizioni selvagge in cui sono tenuti, una storia emersa tra la fine del 2004 e la metà del 2006, viene ora ricostruita da Alessandro Leogrande nel libro “Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nella campagne del sud”, appena uscito per la collana “Strade blu” di Mondadori. Scrittore e giornalista, 31 anni, vicedirettore del mensile “Lo straniero”, Leogrande è pugliese e discendente di una famiglia proprietaria di una masseria con 240 ettari di terreno a Gioia del Colle (BA). E’ anche questo coinvolgimento “familiare” con l’evoluzione dell’agricoltura nella sua regione che lo ha spinto a compiere lunghe ricerche di archivio, in particolare attorno all’eccidio di 6 braccianti avvenuto l’1 luglio del 1920 da parte dei proprietari terrieri delle Murge tra Gioia e Castellaneta, nota come la strage di Marzagaglia, seguita dalla rappresaglia del giorno dopo in cui vennero uccisi tre possidenti. Il nonno di Leogrande gli confida che il suo bisnonno e il suo trisavolo, che di lì a poco avrebbe acquistato la proprietà, non parteciparono all’uccisione, “per non correre rischi”, ma “mandarono un uomo armato di fucile, a pagamento” per sparare su una turba di 50 straccioni che chiedevano di essere pagati.

 

Il “patto di sangue” tra proprietari per sopprimere le velleità dei contadini, che dopo la guerra provavano ad alzare la testa, diventa così il filo rosso dell’inchiesta di Leogrande. “Facendo luce sul passato mi sono ritrovato nel presente”, scrive nell’ultimo capitolo, “e allo stesso tempo barcamenandomi nel presente ho ritrovato più volte le tracce scomposte di quel passato sepolto”. “Uomini e caporali” dimostra dunque che dopo un secolo nulla è cambiato: che continua a esistere quella “umanità derelitta” fatta di “uomini e donne che si rotolano nella polvere per raccogliere un pomodoro” e che alla fine della giornata contano “quei pochi spiccioli, dicendosi vivi”.

 

Ma se in Puglia e in tutto il sud lo sfruttamento dei braccianti attuato dai proprietari terrieri tramite i loro intermediari, i caporali appunto, è sempre esistito e continua a esistere, ciò che è successo con i polacchi rappresenta uno spaventoso salto di qualità. Consueto il trattamento economico promesso (3,5 euro per ogni “cassone” da 280 chili riempito di pomodori), ma la differenza con le altre vicende di sfruttamento scoperte fino ad allora è che nemmeno quei soldi vengono quasi mai dati, e che di fatto i braccianti sono tenuti come veri schiavi e di fatto prigionieri in condizioni più che disumane, sottoposti a crudeltà quotidiane spinte in vari casi fino all’omicidio.

 

Eppure qualcuno riesce a scappare. Come i tre studenti polacchi che dopo un lungo cammino escono da quelle terre “fuori dal tempo e dal mondo” e denunciano i propri aguzzini. Non ci vuole molto a capire che se la loro storia fosse rimasta nella stazione dei carabinieri del paesino raggiunto dai tre avrebbe fatto la fine di tante altre denunce, bloccate da quella tacita accettazione dello sfruttamento dei braccianti da sempre condivisa dalle comunità locali. Di quella “illegalità che non crea alcuna apprensione o allarme sociale”. Ma per qualche motivo la storia viene presa in mano dalla Direzione distrettuale antimafia e le indagini affidate ai Ros, fino ad arrivare in un tempo relativamente breve al processo e alla sentenza. (st) (vedi lancio successivo)

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news