L’Italia non attrae più gli immigrati, ma chi resta è sempre più radicato
ROMA - Sono sempre meno i cittadini stranieri che arrivano in Italia in cerca di lavoro. Complice la crisi i flussi d’ingresso per motivi economici sono nettamente diminuiti nel 2013, mentre a determinare la crescita della popolazione straniera nel nostro paese sono soprattutto gli ingressi per ricongiungimento familiare e le nuove nascite. Nell’ultimo anno crescono, inoltre, anche le acquisizioni di cittadinanza, quasi raddoppiate rispetto al 2012. A fotografare il nuovo corso della presenza straniera in Italia è il “Dossier statistico immigrazione 2014” realizzato dal centro studi e ricerche Idos in collaborazione con Unar, e presentato oggi a Roma.
Chi torna a casa e chi sceglie paesi più dinamici. Secondo il dossier nel corso degli ultimi cinque anni (fine 2008-fine 2013), così profondamente segnati dalla congiuntura economica negativa e dal parallelo ridimensionamento dei flussi programmati, la presenza non comunitaria in Italia è aumentata, ma con un ritmo fortemente rallentato rispetto agli anni immediatamente precedenti. Sono 3.874.726, infatti, i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti alla fine del 2013 (donne nel 49,2 per cento dei casi), con un aumento di circa 110mila persone rispetto alla fine dell’anno precedente (+2,9 per cento) e di circa 237mila rispetto a due anni prima (+6,5 per cento).
“La crisi, come era prevedibile, si è tradotta innanzitutto in un netto ridimensionamento dei flussi in entrata – si legge nel rapporto - calo che, unito alla crescente influenza dei flussi in “uscita” (dalle partenze vere e proprie alla perdita dei requisiti necessari al mantenimento del diritto al soggiorno) sono nell’ordine dei 575 mila i permessi scaduti senza rinnovo tra la fine del 2011 e la fine del 2013. Questo si riflette nella decisa flessione dei ritmi d’aumento dei cittadini non comunitari più o meno stabilmente soggiornanti nel paese”. Secondo i ricercatori di Idos evidente è dunque l’indebolimento dei fattori di attrazione dell’Italia nei confronti dei migranti di origine non comunitaria, che ha indotto un deciso calo degli ingressi e un crescente interesse per il rientro in patria o il trasferimento verso paesi più dinamici, manon un crollo delle presenze.
La maggior parte dei permessi rilasciati per motivi di famiglia. Nel 2013 i visti rilasciati per soggiorni superiori a 90 giorni sono stati 169.055, di cui solo 25mila per lavoro subordinato e 1.810 per lavoro autonomo, ben 76.164 sono invece quelli per motivi di famiglia. Anche la quota prevalente dei 255.646 permessi di soggiorno emessi nel corso dell’anno è stata rilasciata per motivi familiari (41,2 per cento del totale, ovvero 105.266 titoli), mentre i nuovi rilasci per motivi di lavoro si fermano al 33,1 per cento (84.540). Tutti gli altri motivi rappresentano il 25,8 per cento del totale (65.840), tra questi anche lo studio, che da solo raccoglie una quota del 10,7% del totale. L’asilo e i motivi umanitari, rappresentano invece il 7,5 per cento dei nuovi rilasci conteggiati nell’anno.
Il dossier ricorda che è dal 2011, che si registra un netto calo della quota dei nuovi permessi per motivi di lavoro e una parallela crescita della quota dei nuovi permessi per motivi di famiglia e per altri motivi. “Un’evoluzione chiara, evidente conseguenza delle crescenti difficoltà occupazionali del paese e del netto ridimensionamento della domanda di manodopera aggiuntiva, ma anche un evidente riflesso della tendenziale stabilità e del radicamento a carattere familiare di ampi strati della popolazione non comunitaria soggiornante nel paese, che, pur colpita dalle difficoltà attuali, continua diffusamente ad attivare il canale del ricongiungimento familiare e a far nascere in Italia i propri figli (le nuove nascite sono state 77.705) – si legge nel rapporto - Il passaggio in atto appare ancor più evidente confrontando il quadro attuale con quello dei flussi in ingresso nel 2007, quando i nuovi rilasci per lavoro erano non solo preponderanti (56,1 per cento), ma anche ben più numerosi in termini assoluti rispetto ad oggi (150.098 nel 2007 contro l’ 84.540 nel 2013) e, al contrario, i nuovi permessi per famiglia oltre a coprire una quota di secondo piano (32,3 per cento) non raggiungevano le 90mila unità, a fronte degli oltre 100mila nuovi permessi registrati nel 2013 (86.468 nel 2007 contro 105.266 nel 2013).
Una popolazione “normale” e radicata. I permessi per motivi familiari riguardano, in particolare, le collettività di più antico insediamento e con consolidate catene migratorie verso l’Italia, come quelle marocchina e albanese, all’interno delle quali la quota dei ricongiungimenti sul totale di quelli rilasciati nel 2013 sale rispettivamente al 58,7 per cento e al 56,8 per cento; e si attesta oltre i due quinti del totale nel caso della Cina (45,1 per cento) e dell’Egitto (42,5%), mentre scende sotto questa soglia nel caso dell’India (38,2%) e del Senegal (37,4%) e sotto quella di un terzo del totale nel caso del Pakistan (32,8%), dell’Ucraina (30,8%) o del Bangladesh (24,1%). Questo, secondo i ricercatori Idos, evidenzia una “crescente tendenza all’insediamento stabile e al radicamento a carattere familiare, una tendenza che – nell’affievolirsi dell’influenza delle migrazioni economiche propriamente dette – si fa particolarmente evidente in questi anni di crisi.
I dati delineano, in altri termini, il profilo di una popolazione “normale”, con alle spalle sempre più avanzati e strutturati percorsi di inserimento e inte(g)razione: un tassello, composito e cangiante, del (nuovo) corpo sociale del paese.” I soggiornanti di lungo periodo, titolari dell’apposito permesso a tempo indeterminato (per il quale sono richiesti almeno 5 anni di soggiorno continuativo e un reddito minimo certificato), sfiorano i 2,2 milioni alla fine del 2013 (2.179.607, per il 49,7% donne), mentre la presenza dei minori, “chiaro segnale della continua ricostruzione di nuclei familiari, sfiora invece il milione di persone (925.569 alla fine del 2013), con un’incidenza di quasi un quarto sull’intero gruppo dei soggiornanti (23,9% e del 16,7% sui nuovi permessi rilasciati nell’anno).
Cittadinanze raddoppiate, 100 mila nuovi italiani nel 2013. Facendo un confronto con il Censimento del 2001, le collettività che hanno registrato gli incrementi più significativi negli ultimi 13 anni sono la Romania (che passa dai 74.885 censiti nel 2001 agli 823.100 censiti nel 2011), l’Albania, il Marocco e la Cina che, nel complesso, aumentano di oltre 650 mila unità. Infine, gli incrementi percentualmente più consistenti sono stati registrati dalla Moldavia, che da poco più di 4 mila presenze censite nel 2001 passa alle oltre 130 mila del 2011, e dall’Ucraina, che dagli 8.647 residenti del 2001 raggiunge, nel corso del decennio, quasi 180mila residenti.
I cittadini italiani per acquisizione ammontano a 671.394; rispetto al 2001 hanno registrato un incremento di 285.782 unità (+135 per cento). Il 36,5 per cento è diventato italiano per motivi di matrimonio, ma la maggior parte degli italiani per acquisizione ha ottenuto la cittadinanza italiana per motivi diversi (il 63,5%). La quota dei cosiddetti “nuovi italiani” è secondo il rapporto un importante indicatore di integrazione e di radicamento della popolazione straniera. La legge 91/92 prevede l’acquisizione della cittadinanza, per residenza (naturalizzazione) e per matrimonio (la modalità prevalente per le donne straniere).
Ma secondo il rapporto stanno assumendo rilevanza numerica le acquisizioni per trasmissione diretta al minore straniero convivente con genitore che ha acquisito la cittadinanza italiana e le acquisizioni da parte dei minori che, avendo regolarmente risieduto in Italia fino al compimento del diciottesimo compleanno, ne abbiano fatto richiesta. Nel complesso, in base ai dati di fonte anagrafica, nel 2013 i procedimenti di acquisizione della cittadinanza italiana definiti sono stati oltre 100mila. Si tratta di un numero elevato (nel 2012 erano state 65.383), che tuttavia probabilmente risente anche di un recupero di lavoro arretrato nella definizione e registrazione di questo cambiamento di status degli stranieri residenti da parte dei Comuni, accumulatosi negli anni di censimento”.