L’ultima frontiera: il film che mostra "l'ergastolo bianco" dei migranti
CAPODARCO – “Ci troviamo qui come ai tempi di Hitler”. “Questo non è un centro di accoglienza, ma di sofferenza”. E’ la viva voce degli immigrati "trattenuti" nei Cie italiani – Centri di identificazione ed espulsione – che apre uno squarcio sulla vita quotidiana dei cosiddetti “clandestini”, protagonisti del documentario “EU 013 L’Ultima Frontiera”. Un documento straordinario perché mostra per la prima volta la vita quotidiana dentro le celle e negli spazi comuni di queste "prigioni-non prigioni" circondate da altissime inferriate, dove ogni anno circa 8.000 persone restano detenute fino a 18 mesi senza essere sottoposte ad alcun processo e senza aver commesso alcun reato penale, in un clima surreale, straniante e spesso violento.
boxIl documentario (62 minuti) è stato presentato in anteprima assoluta per i giornalisti nel corso del XX seminario di Redattore Sociale alla Comunità di Capodarco di Fermo (“La sostanza e gli accidenti”). Gli autori sono Raffaella Cosentino, collaboratrice dell’agenzia Redattore Sociale e Alessio Genovese, videomaker, che ne firma la regia. E' stato girato tra febbraio e marzo di quest’anno all’interno dei Cie di Ponte Galeria (Roma), Bari, Milo (Trapani), al porto di Ancona e per la prima volta nell’area di sosta dell’aeroporto internazionale di Fiumicino, dove vengono fatti attendere gli stranieri in attesa del respingimento. Le riprese si sono concluse a ottobre. “Eu 013. L’ultima frontiera” viene proiettato in prima mondiale oggi a Firenze, nell’ambito del Festival dei Popoli per cui è stato selezionato. Le musiche originali sono di Alessandro Librio.
Come si traduce sulla vita degli immigrati la detenzione per “reato di clandestinità”? E’ quello che mostra il video, in cui si vedono i migranti in balìa dell’inedia, della più avvilente astenia: nei Cie non c’è nulla da fare, tranne “dormire per non sentirsi male”, camminare tra le sbarre, fumare sigarette che vengono consegnate attraverso una grata, stare nelle celle. Poi c’è il loro senso di perdita: perdita della dignità di esseri umani, perdita totale della libertà, perdita del tempo del loro esistere, che scorre tanto lentamente quanto inutilmente e senza alcuna prospettiva.
Infine, la violenza. Come in tutti i luoghi concentrazionari, a sprigionarsi tra le gabbie è l’aggressività. Il video mostra in presa diretta le rivolte, gli incendi appiccati, i tentativi di fuga. “Qui la speranza è la prima a morire”, dice uno dei cosiddetti “ospiti”. Ed è come vivere un “ergastolo bianco”. Ma non sono solo i migranti i protagonisti del video: altrettanto forte emerge il ruolo degli agenti della polizia, esposti a loro volta a un clima di continua tensione che appare come palpabile dalle riprese e dal suono in presa diretta.
Le telecamere di Cosentino e Genovese, con l'autorizzazione del ministero dell’Interno, sono entrate dove nessun altro era riuscito e sono state capaci di far vedere fino a che punto sia assurda una detenzione di questo tipo. I Cie costano alla collettività almeno 55 milioni di euro l’anno, ma solo la metà dei trattenuti viene effettivamente rimpatriata. Allo scadere dei diciotto mesi vengono rilasciati con un foglio di via con il quale devono uscire dal territorio nazionale italiano entro pochi giorni. Molti di loro non vengono più riconosciuti dai loro consolati, se escono dal nostro per andare in un altro paese europeo vengono fermati e rimandati in Italia dove vengono riportati in un Cie per altri diciotto mesi.
“Per la prima volta il ministero ha permesso a un’intera troupe cinematografica di fare ingresso per alcuni giorni consecutivi nei diversi Cie – spiega Genovese – . Per noi questo ha rappresentato una grande occasione: la possibilità di descrivere lo spazio e il tempo all’interno di questi centri. Abbiamo scelto di raccontare una storia collettiva, fatta anche di molte persone che sono in Italia da anni. Il Cie resta l’epilogo per il viaggio di molti approdati in Europa nell’era Schengen. L’ultima frontiera da abbattere è innanzitutto un limite mentale che dobbiamo superare”. “I Cie sono luoghi infernali che ledono i diritti umani, istituzioni totali paragonabili ai manicomi, una vergogna di cui l’Italia non ha bisogno – commenta Cosentino - . Dopo tante inchieste, abbiamo pensato a un lavoro di respiro più ampio per permettere a tutti di vivere la sensazione di straniamento che si prova quando si entra là dentro”.
"Prima c’era la lotta ovest contro est, capitalismo contro comunismo. Ora i ricchi si chiudono e si difendono dai poveri e noi siamo qui rinchiusi senza aver fatto nulla", è l'amaro commento di un recluso.
Il film termina con la scritta: “Dedicato ai reclusi nei Cie”. Un atto coraggioso di restituzione della piena dignità ai migranti, colpevoli solo di voler ricostruire la propria vita in un paese diverso dal loro. (ab)