19 settembre 2016 ore: 11:16
Economia

La cabina di regia sul caporalato compie un anno. Ma ora ha bisogno di una legge

Il bilancio della Rete del lavoro agricolo di qualità voluta dal ministro Martina da parte del segretario nazionale della Flai Cgil, Giovanni Mininni. Duemila le aziende iscritte. Preoccupano le criticità non risolte e si spera in un iter rapido del Ddl a Montecitorio. “Le risorse forse a gennaio. Prefetture in ritardo”
Caporalato. Raccolta pomodori. uomo di colore con secchio carico di ortaggi

ROMA - La Rete del lavoro agricolo di qualità voluta dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina compie un anno esebbene abbiaacceso un faro sul fenomeno dello sfruttamento del lavoro e del caporalato, senza l’approvazione in tempi rapidi del ddl sul caporalato attualmente alla Camera, rischia di non aver ancora gli strumenti adatti per combattere al meglio l’illegalità nel settore agricolo. A lanciare l’allarme è Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil, che a Redattore sociale racconta un anno di lavoro all'interno della cabina di regia attivata dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, per promuovere il progetto di una rete di aziende virtuose che possa sradicare il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento nell’agricoltura. Un anno di lavoro sulla rete importante che ha fatto emergere i nodi che restano da sciogliere e che ha visto anche l’arrivo di un protocollo contro il caporalato presentato alla stampa nel maggio scorso da tre ministri (Orlando, Poletti e Alfano) che tuttavia non è ancora decollato in parecchie prefetture dove il fenomeno è più diffuso.

Il bilancio di un anno di lavoro. I numeri parlano chiaro e lo stesso ministro Martina in più occasioni lo ha ribadito pubblicamente: ad oggi il numero di aziende che è entrato a far parte della rete non risponde alle aspettative. L'ultimo dato parla di oltre 2,5 mila richieste e quasi 2 mila aziende iscritte. Ad ostacolare il successo dell'iniziativa, secondo alcune aziende, le maglie troppo strette dei requisiti e la trafila burocratica per aderire alla rete. Tuttavia, dopo i primi mesi e le prime difficoltà, la cabina di regia (presieduta dall'Inps e composta dalle organizzazioni sindacali, quelle professionali agricole e dai ministeri delle Politiche agricole, del Lavoro e dell'Economia e della Conferenza delle Regioni) è intervenuta e ha corretto parzialmente il tiro. Un intervento che ha portato la rete ai numeri di oggi, ma che è ancora lontana dalle oltre 100 mila aziende che potrebbero chiedere l’adesione. Il bilancio del lavoro di questi primi 12 mesi, però, è positivo, spiega Mininni. "Per i risultati che si stanno producendo bisogna dire che il bilancio è assolutamente positivo - spiega il segretario nazionale -. Finalmente si è acceso un riflettore su una situazione che ci fa ragionare su un mondo agricolo molto diversificato dove trovano conferma dei fenomeni di irregolarità diffusa, ma anche la presenza di molte imprese virtuose che sono in grado di poter competere nella legalità".

La burocrazia non è più una scusa. Il lavoro fatto in cabina di regia, spiega Mininni, ha permesso di superare alcuni degli ostacoli che hanno rallentato la partenza della Rete. "Un elemento di difficoltà è ancora segnato dall’Agenzia delle entrate - continua Mininni - che non riesce a mettersi a passo col sistema, ma abbiamo risolto questi problemi per cui venivamo criticati da alcune aziende, abbassando alcune soglie e ritenendo iscritte con riserva quelle imprese che non hanno avuto ancora una risposta dall’Agenzia delle entrate. Abbiamo chiesto anche agli enti vigilanti di concedere la possibilità di iscriversi alle imprese che hanno avuto delle sanzioni e delle multe, considerando come riferimento quello adottato nella concessione degli appalti pubblici. Per cui oggi chi volesse iscriversi alla rete del lavoro agricolo di qualità non ha più nessun argomento per poter dire che è vittima della burocrazia".

Il rischio infiltrazione e i paradossi della Rete. Nonostante il lavoro di un anno, però, non mancano le questioni urgenti da risolvere, come quella di una Rete che possa fungere daombrello protettivo per quelle aziende che vedono nell’iscrizione una possibilità per sfuggire ai controlli. Così come prevede la legge 116 del 2014 che l'ha istituita, infatti, la rete premia le aziende iscritte non con sgravi fiscali, ma con meno controlli, dirottandoli verso quelle che non hanno aderito alla rete. Le attuali regole della Rete, però, non garantiscono al cento per cento che le aziende ammesse abbiano tutte le carte a posto. E questo problema, grave, non è stato ancora risolto. "La rete è stata fatta per un altro motivo - racconta il segretario nazionale Flai -. I soli tre criteri previsti sono troppo pochi: riguardano la regolarità contributiva, di reati contro le leggi sul lavoro negli ultimi tre anni e la regolarità della contribuzione fiscale". Tra le maglie, però, possono passare aziende i cui proprietari siano stati condannati per corruzione, per reati sull’immigrazione, ambientali o di sofisticazione dei prodotti. E parliamo di condanne definitive. "Purtroppo queste non sono contemplate - aggiunge il segretario - e il paradosso è che un’azienda che produce un prodotto sofisticato può far parte della rete del lavoro agricolo di qualità". Nessun veto neanche per quelle aziende che si ritrovano con un procedimento pendente per caporalato. Per cui, il paradosso che potrebbe realizzarsi è quello di trovare all'interno degli iscritti alla rete proprio quelle aziende a processo per il reato che la stessa rete vuole contrastare. "Noi abbiamo la responsabilità di difendere lo strumento contro la volontà di questi pochi imprenditori, che sono nell’illegalità e sono dei criminali, che vogliono utilizzare lo strumento della rete per farsene scudo. Non dobbiamo concedere loro questa possibilità perché la rete è uno strumento importantissimo e in questo modo ne perderebbe di valore”. Il paradosso diventa ancora più clamoroso nel momento in cui la Rete garantisce meno controlli agli iscritti. "Già dallo scorso anno abbiamo denunciato la pericolosità di dire che i controlli vengono destinati a chi non aderisce alla rete - insiste Mininni -. Può spingere qualche imprenditore furbo ad aderire alla rete perché ha qualcosa da nascondere. Il fatto che poi non venga più controllato potrebbe spingerlo ad andare nell’illegalità, con la copertura dello Stato. Meno male che non siamo ancora in grado di certificare l’eticità dell’impresa e probabilmente questa cosa non avverrà mai”.

Legge sul caporalato, occasione da non perdere. La soluzione ai cronici punti deboli della Rete si chiama ddl C.4008 approdato da poco alla Camera dei deputati e assegnato alla Commissione Giustizia e alla Commissione Lavoro dopo l’approvazione al Senato. Un passaggio necessario, dato che il testo proveniva dalla Commissione Agricoltura, ma che potrebbe rallentarne l’iter. Se dovessero esserci modifiche, infatti, il testo dovrebbe tornare a Palazzo Madama per l’approvazione. “Il disegno di legge darebbe ulteriori strumenti al funzionamento della rete per tre motivi - spiega Mininni -. Primo perché prevede l’allargamento e la responsabilità penale anche all’impresa e disegna per la prima volta in Italia il reato di sfruttamento sul lavoro con tre modalità: quella dell’intermediazione illecita del caporale, quella nella quale il lavoratore può essere vittima di violenze e infine quella di un’impresa che sfrutta perché non applica il contratto nazionale e provinciale”. In questo modo, precisa il segretario nazionale, “quelle imprese di cui oggi dobbiamo accettare l’iscrizione alla rete nonostante abbiamo commesso un reato ambientale o di corruzione, col disegno di legge possiamo subito respingerne l’iscrizione”. Il testo, inoltre, aumenterebbe la “potenza di fuoco” della cabina di regia, aggiunge Mininni. “La rete finalmente si strutturerebbe con articolazioni territoriali - aggiunge -. Per questo il disegno di legge va approvato subito”. Il testo, però, qualche neo ce l’ha e riguarda l’articolo 10. “Ci dà qualche preoccupazione perché sembra resuscitare i contratti di riallineamento - spiega Mininni -. Stiamo facendo approfondimenti e il governo deve chiarirne la ratio perché è incoerente con l’impianto della legge”. Dalla Flai Cgil, però, arriva la promessa di non spingere per alcun emendamento. “Non vogliamo che alla Camera si riapra la discussione. Abbiamo bisogno che la legge venga approvata in maniera definitiva entro la fine dell’anno per avere già alla raccolta degli agrumi di fine gennaio uno strumento utile per contrastare il fenomeno”.

Il protocollo (quasi) fantasma. In attesa che legge contro il caporalato arrivi al fotofinish, il governo non è rimasto immobile e nelle stanze del Viminale, a fine maggio scorso, ben tre ministri hanno presentato un ricco protocollo per combattere il fenomeno sui territori in tempi rapidi. Andrea Orlando, Giuliano Poletti e Angelino Alfano l’hanno presentata come una “vera e propria battaglia specifica e mirata contro il caporalato”. Eppure, per Mininni, del protocollo sui territori si vede ben poco. “Poteva essere lo strumento che attuava le cose presenti nel ddl prima dell’entrata in vigore della legge - spiega -. Noi così l’abbiamo sempre visto e così, insieme a Caritas e Libera, l’abbiamo inteso. Su quei territori lavoriamo fianco a fianco da tempo e abbiamo visto che il protocollo ha delle difficoltà a partire. Le risorse non sono arrivate, forse arriveranno a gennaio, ma il problema è che alcune prefetture sono partite molto in ritardo. Basti pensare che la prefettura di Reggio Calabria, da fine maggio, ha convocato la prima riunione solamente la scorsa settimana. La prefettura di Caserta è partita subito istituendo quattro tavoli convocando tutte le associazioni, ma sono partiti in pochi. Foggia, invece, ha firmato un protocollo valorizzando quello nazionale e implementando con azioni specifiche sul territorio, ma l’azione concreta stenta ad andare avanti. La prefettura di Lecce lavorava già prima e continua a farlo. Altre sono in attesa”. A Rosarno, intanto, “nulla è cambiato dalla firma del protocollo - precisa Mininni -. Doveva essere istituita un’altra tendopoli, ma è ancora in fase di progettazione”. I lavoratori restano nelle tende ormai logore “sulle quali è scritto ministero dell’Interno”, racconta il segretario nazionale, ma il nodo da sciogliere in Italia è ancora quello dell’accoglienza. “Può essere che chi viene nel nostro paese a produrre ricchezza, il nostro paese non sia in grado di accoglierlo in maniera dignitosa? Può essere che l’unico sforzo che si fa è quello di concepire una nuova tendopoli e non si trovi un edificio rurale da ristrutturare? Vengono a produrre ricchezza, vanno rispettati nella loro dignità”. (ga)

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