La linea telefonica per i migranti in difficoltà: 20 sos dal mare in 10 giorni
TORINO - Quando la raggiungiamo al telefono, la versione ufficiale ancora vorrebbe che a rovesciare il barcone, sabato notte, sia stato il panico dei migranti a bordo. Ma, tra le righe, Chiara ci fa capire che le cose potrebbero essere andate diversamente. “Un mercantile non è una nave da soccorso” spiega. “La legge del mare li obbliga a farlo, e spesso svolgono un ottimo lavoro. Ma non sarebbe la prima volta che si verifica una collisione tra le imbarcazioni dei migranti e quelle che ne raccolgono l’Sos”. Un paio d’ore più tardi, le sue parole suonano già profetiche. Dalla procura di Catania fanno sapere che a dare inizio alla più grande tragedia del Mediterraneo sarebbe stato proprio l’urto con il mercantile portoghese King Jacob; causato da uno scafista che, a quanto pare, era più occupato a non farsi identificare che a salvare la pelle.
Col tempo, questo tipo di situazioni Chiara Denaro ha imparato a conoscerle bene. Un anno e mezzo fa si è unita al finto corteo nuziale che ha attraversato mezza Europa per scortare un gruppo di rifugiati oltre il confine svedese, finito poi al cinema col nome di “Io sto con la sposa”. Da allora, oltre a lavorare come assistente sociale e ricercatrice nel campo delle migrazioni, ha preso a collaborare con Watch the Med, una rete di attivisti sparsi tra Europa e Nord Africa che si occupa di monitorare le violazioni dei diritti umani sul Mediterraneo. E che nello scorso ottobre ha attivato l’alarm-phone, una linea telefonica che i migranti possono contattare per lanciare un sos, chiedendo assistenza per se stessi o per parenti e amici bloccati in mare. “Ovviamente - spiega - non ci occupiamo di soccorso. Quello che cerchiamo di fare, invece, è riportare la calma a bordo, evitando che si diffonda il panico tra i migranti o che qualcuno faccia movimenti inconsulti. Parallelamente, stabiliamo una forma di mediazione con le autorità per sollecitare i salvataggi”.
A rispondere alle linee c’è una rete multilingue di operatori che già da tempo, a vario titolo, si occupano di assistenza ai migranti. Con loro collaborano anche Nawal Soufi 27enne catanese di origine marocchina ribattezzata “Lady Sos” dalla comunità dei profughi siriani; o don Moussi Zerai, prete eritreo divenuto famoso per trasmettere, dal Vaticano, le richieste d’aiuto dei migranti alle autorità. “Noi - continua Denaro - non intendiamo sostituirci alla Guardia costiera, che peraltro, pur nei limiti imposti da Triton, cerca di svolgere al meglio il suo lavoro. Ma fu proprio un loro maresciallo, durante un corso di formazione al Cnr, a lamentare il fatto che nella stessa centrale di Roma manchino del tutto i mediatori in lingua araba”.
Nel volantino diffuso online nei mesi scorsi, gli attivisti di Watch the med hanno descritto una procedura da adottare in mare aperto: in caso di emergenza, i migranti dovrebbero chiamare la guardia costiera; quindi, possono mettersi in contatto con gli operatori di alarm-phone, che, quando necessario, solleciteranno a loro volta le autorità. “Se non verrete prontamente soccorsi - recita il volantino - cercheremo di fare pressione, informando media e gruppi politici”. Una seconda procedura, dedicata ai casi di sospetto respingimento, prevede che i migranti si mettano subito in contatto con l’organizzazione; che, oltre a mediare con la politica e gli organi di informazione, si occuperà di documentare e diffondere quanto accaduto.
Il primo nucleo informale di quello che oggi è l’alarm-phone ha iniziato a formarsi dopo il naufragio dell’11 ottobre 2013, quando 266 siriani rimasero per ore ad attendere i soccorsi al largo di Malta; per poi scoprire, prima di trovare la morte in mare, che la Guardia costiera italiana, oltre a non aver mobilitato alcun mezzo di soccorso, non si era nemmeno preoccupata di trasmettere l’allarme ai colleghi della Valletta. “Allora - ricorda l’attivista Hagen Kopp, tra i fondatori della linea - iniziammo a chiederci cosa sarebbe cambiato se la seconda chiamata fosse arrivata a un’agenzia indipendente; qualcuno che si incaricasse di controllare i controllori”. Secondo Kopp, dallo scorso ottobre la linea ha ricevuto circa sessanta chiamate. “Venti di queste - precisa - sono arrivate soltanto negli ultimi dieci giorni. La giornata più intensa è stata quella di domenica 12 aprile: e da allora siamo stati in contatto con circa quindici imbarcazioni”. Una media di oltre una al giorno. “Ovviamente - spiega - la maggior parte delle richieste arrivano dal Mediterraneo centrale, ovvero dal tratto di mare che collega l’Italia alla Libia. Ma in molti casi ci chiamano anche dal corridoio orientale, che collega la Turchia alla Grecia, e da quello occidentale, tra il Marocco e la Spagna”.
Le chiamate, però, non riguarderebbero soltanto richieste di soccorso: “a volte - precisa - ci capita di ricevere chiamate da migranti approdati su isolette delle Grecia, che hanno paura di essere respinti. Noi cerchiamo di assicurarci che questo non accada, perché violerebbe il diritto internazionale. In casi del genere, documentiamo ogni nostra attività, pubblicando sul nostro sito dei report che vengono aggiornati più volte”. Lo scorso 25 maggio, ad esempio, gli attivisti hanno pubblicato una nota, denunciando di aver perso le tracce di un gruppo di rifugiati siriani appena approdati sull’isola greca di Symi. Il giorno dopo, l’Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati) ha confermato l’arresto del gruppo, composto da una cinquantina di persone. Tenendosi in contatto con parenti e amici dei rifugiati, Watch the Med ha continuato però a seguirne i movimenti; e il 14 aprile hanno diffuso la notizia che alcuni di loro erano riusciti a raggiungere i parenti in Svezia.
“Ovviamente - conclude Kopp - è dal mare che arriva la maggior parte delle richieste. E, a meno che l’Unione europea non si decida ad adottare una nuova politica, riportando gli standard almeno a quelli di Mare Nostrum, le chiamate continueranno a crescere. Ma anche questo, è importante dirlo, sarebbe un palliativo. L’unica soluzione possibile e definitiva è rappresentata dal diritto alla mobilità: questa crisi terminerà soltanto quando le autorità europee si decideranno a istituire un corridoio umanitario, con dei traghetti che portino i rifugiati dal Nord Africa verso l’Europa. Lo abbiamo detto più volte: c’è bisogno di ferries, non di frontex”. Per informazioni: www.watchthemed.net (ams)