19 febbraio 2021 ore: 11:47
Disabilità

La Lis che non c'è, dalla scuola al tempo libero: la denuncia di una mamma adottiva

di Chiara Ludovisi
Sua figlia non è sorda: può sentire, può vedere, ma non riesce a parlare. “Abbiamo imparato la Lis, lei ma anche noi, per permetterle di comunicare. Ma né a scuola, né fuori da scuola, questo diritto le viene riconosciuto. Nel nostro territorio ci sono tanti giovani, laureati in Lis: perché non integrarli nei servizi?”
Lisa con i Lis performer

Lisa con un gruppo di Lis performer

ROMA – La voce è quella concitata di una mamma che combatte per il bene di sua figlia: la rabbia è quella di chi sa che un diritto esiste e trova inaccettabile che non sia rispettato. Raffaella Buziol è mamma adottiva di tre figli. La seconda figlia è arrivata dalla federazione russa quando aveva tre anni. Oggi ne ha 13 e continua a non parlare. “Inizialmente ci avevano detto che potesse dipendere dal trauma dell'adozione, o dal cambio di lingua, oppure dall'infiammazione di adenoidi e tonsille. Aveva cinque anni quando, dopo essere stata operata per quest'ultimo problema, ricevette la diagnosi: disprassia. In pratica, ha una difficoltà nel formulare le parole. Quindi non riesce a comunicare verbalmente”. Lisa sa usare la Lis: ha iniziato a studiarla, quando la terapista ha indicato questo, insieme alla logopedia e alla riabilitazione, come strumento attraverso il quale sarebbe riuscita anche lei a farsi comprendere. “L'ho imparata anche io, la Lis – racconta la mamma – perché mi sembrava indispensabile, un atto dovuto nei confronti di mia figlia”. Eppure, la Lis rischia di essere inutile, per Lisa, al di fuori della famiglia.

Il “calvario” della scuola

“E' un vero calvario – ci racconta la mamma - perché ogni volta che chiedo un assistente per mia figlia, che sappia comunicare in Lis, mi viene detto che mia figlia non è sorda e quindi non ha diritto. Così, sono quasi 10 anni che riceve sostegni e servizi inadeguati, dentro e fuori la scuola.

Alla materna ho trovato moltissimi muri e ho dovuto pagare di tasca mia un interprete Lis che stesse accanto a mia figlia, permettendole di comunicare con gli insegnanti e con i compagni”. Il problema è che questi interpreti, non è affatto facile trovarli: “Io non sapevo dove cercare – ci racconta la mamma – Mi rivolgevo agli uffici, ma nessuno sapeva nulla. Quando si parla di Lis, ci si trova davanti il vuoto. Per caso ho poi trovato la soluzione proprio dietro casa: ho scoperto infatti che la Ca' Foscari e uno dei pochissimi atenei in Italia che, nel piano formativo del corso di studi in Lingue, include anche la Lingua dei segni italiana. Ogni anno si laureano interpreti competenti e formati, che però non ritroviamo dove ci aspetteremmo di trovare: nella scuola, ma anche nei servizi e nel tempo libero. Men che mai nei centri diurni e nelle strutture gestiti dalle cooperative, o nei contesti aggregativi ed educativi per giovani: è possibile che le amministrazioni non pensino, nei loro affidamenti di servizi, a includere anche professionalità come queste, che garantirebbero l'accessibilità anche a ragazzi come mia figlia, che attualmente sono, di fatto, esclusi da tutto?”.

LisaRaffaella non è però una di quelle che si arrende facilmente, o che di fronte all'ostacolo si rassegna: “Ho fatto causa all'azienda sanitaria, perché a mia figlia veniva negata l'accessibilità alla scuola e ai servizi. Ho vinto la causa, ma il problema non è stato risolto. Con l'inizio della scuola elementare ed la sentenza vinta, speravo che il Miur garantisse la piena inclusione scolastica di mia figlia, invece è iniziata un'altra guerra, perché per il ministero è come se la Lis non esistesse, soprattutto quando l'alunno non è sordo. Così, anche dalla prima alla terza elementare ho continuato a pagarmi un interprete Lis, Finalmente, in quarta elementare, sono riuscita ad ottenere per Lisa 20 ore di assistente alla comunicazione in Lis, ma ho dovuto pagare io le altre ore di interprete, per arrivare a 28 ore settimanali di frequenza. In quinta elementare sono stati inseriti sia assistente alla comunicazione in Lis che tirocinanti. Peccato che non siano adeguatamente valorizzati e integrati nel loro ruolo e facciano fatica, quindi, a garantire la piena inclusione a Lisa”.

Il traguardo: “una bellissima legge regionale. Che però è inapplicata”

Il problema di fondoè è che “non c'è una legge nazionale che riconosca la Lis – osserva Buziol - E anche in tutte le norme in discussione al Parlamento, si parla solo di sordità, mai di disabilità comunicative. Ma la Lis – afferma – è per tutti coloro che hanno necessità di parlare, ma che non riescono a farlo attraverso la voce”. In assenza di una norma nazionale capace di tutelarla, si è quindi rivolta alla Regione: “E qui sono riuscita a ottenere un risultato bellissimo: la legge 11 del 2018, che finalmente allarga la platea dei destinatari della Lis. Peccato che non sia cambiato nulla e che anche questa legge sia regolarmente – anzi irregolarmente – disattesa. Il capitolato regionale che regola l'erogazione del servizio di assistenza all'autonomia e alla comunicazione di fatto disattende questa bella legge regionale, parlando di Lis solo nel caso di sordi e ciechi e riferendosi, per gli operatori, a una generica specializzazione, che in ambito scolastico vuol dire tutto e niente: spesso un docente specializzato non è formato”.

Il “sogno di vedere i performer Lis al lavoro sul territorio”

Il “sogno”, poi, sarebbe che “la Lis arrivasse nell'ambito sociale e del tempo libero: “I performer Lis e gli interpreti che escono dalla Ca'Foscari dovrebbero essere valorizzati, almeno qui nel territorio, inseriti nelle attività e nelle iniziative: per loro significherebbe un lavoro, per mia figlia la possibilità, finalmente, di frequentare un contesto educativo, aggregativo, un corso di danza, di musica ecc. Non chiedo di avere questa possibilità gratis, chiedo semplicemente di averla. Io pagherei, per l'accessibilità. Ma ai comuni, alla regione e alle istituzione come il Miur spetta il compito di intervenire, insieme alle aziende sanitarie e al ministero, per garantirla nei servizi e nelle attività. Altrimenti non si parli di opportunità, di formazione, tanto meno d'inclusione: senza una vera accessibilità, che permetta a tutti di comunicare ed esprimersi, non esiste niente altro che l'assistenza e la frequenza. Che sono un'altra cosa”.

La conclusione è amara, l'esperienza insegna: “Se noi genitori non siamo disposti a combattere con tutte le nostre forze, rivolgendoci anche ai tribunali, come ho fatto io, o la mamma di Reggio Emilia, possiamo star certi che i diritti dei nostri ragazzi non saranno tutelati. Si parla tanto del 'dopo di noi': quando arriverà quel 'dopo', non ci sarò più io a gridare per i diritti e la dignità di mia figlia. Devo urlare finché ho voce e lo farò, per poter essere serena nel momento in cui dovrò lasciarla”.

 

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