La missione di Don Bosco aiuta i minori stranieri soli a costruire il futuro
CATANIA – Alcuni hanno visto uccidere la loro famiglia, tutti hanno attraversato il deserto, qualcuno è stato incarcerato nelle prigioni libiche, ha subito torture e violenze e poi chi è riuscito a scappare ha attraversato il mare, rischiando la vita un’altra volta. Sono i minori stranieri non accompagnati accolti nella Colonia Don Bosco a Catania, il Centro di prima accoglienza che fa parte del progetto Don Bosco Island voluto da tre organizzazioni della Famiglia salesiana, i Salesiani per il sociale, il Vides e il Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo). Sono originari di Bangladesh, Mali, Costa d’Avorio, Nigeria, Guinea, Eritrea, Egitto, Etiopia. Sono scappati per motivi politici, perché il loro Paese è in guerra, per ragioni economiche, per poter continuare a studiare. “Hanno poco più di 15 anni e, in particolare quelli originari di Eritrea, Egitto ed Etiopia se ne vanno subito, ripartono per il Nord Europa – racconta Cinzia Vella, coordinatrice del Cpa – Noi spieghiamo loro dei rischi che corrono ma loro ci rispondono che hanno già fatto un viaggio difficile, che i pericoli del viaggio li hanno già conosciuti”.
BOZ Attivo da ottobre 2015, il Centro di prima accoglienza è accreditato per 60 posti, “ma al momento abbiamo 63 ragazzi, più 2 neomaggiorenni da collocare – aggiunge Vella – Gli sbarchi sulle coste siciliane sono continui e ne arrivano tantissimi”. Il periodo di accoglienza dovrebbe essere di 90 giorni, “ma non è così perché i centri di seconda accoglienza sono pieni e questo complica le cose”. Alla Colonia Don Bosco ci sono ragazzi accolti da 8/9 mesi, qualcuno da un anno. “Per questo siamo un ‘ibrido’ – dice Vella – Siamo un centro di prima accoglienza ma offriamo anche servizi di seconda accoglienza, perché non posso far aspettare un ragazzo 9 mesi per presentare una richiesta di asilo o per iniziare un percorso di alfabetizzazione”.
Il Cpa Colonia Don Bosco, “dove la missione di Don Bosco si attualizza per rispondere ai giovani che scelgono di lasciare il proprio Paese”, è in una situazione particolare, si trova in un lido “dove d’estate si fanno attività per i bambini, i disabili e le famiglie che vivono la stagione estiva”. I minori stranieri hanno quindi la possibilità di partecipare alle attività del lido, “per noi è un valore aggiunto”. Durante l’anno comunque fanno attività di integrazione, “per crearsi un futuro qui”, frequentano gli oratori, incontrano i ragazzi delle scuole, “accogliamo anche giovani sia d’estate che durante i periodi festivi che fanno i volontari e vivono la vita di comunità con i minori stranieri”. Ad agosto ne sono arrivati moltissimi da Torino, Milano, Venezia e Napoli, “e alcuni torneranno per Natale”.
La giornata tipo dei minori stranieri prevede ovviamente la scuola, e poi attività integrative, laboratori di formazione, sperimentazione nel lavoro. “Cerchiamo di renderli responsabili all’interno della comunità coinvolgendoli nelle attività di cucina, pulizia e cura del verde – aggiunge Vella – e poi d’estate partecipano, grazie a borse lavoro, alla pulizia della spiaggia, a gestire il parcheggio, la ristorazione e l’accoglienza al lido”. Alcuni ragazzi sono diventati mediatori linguistici nel centro, “il primo passo è creare una relazione di fiducia con i minori stranieri e la presenza di un ragazzo come loro, che parla la loro lingua e ha vissuto quello che hanno vissuto loro sicuramente è di aiuto”.
Il Centro di prima accoglienza partecipa al progetto Stop Tratta di Missioni Don Bosco e Vis per informare chi decide di partire sui gravi rischi che affronterà durante il viaggio e per dare opportunità concrete a chi vuole restare, attraverso progetti di sviluppo specifici, per migliorare le condizioni di vita proprie e della propria famiglia. “L’obiettivo è contrastare il traffico di esseri umani, un traffico lucroso che miete tante vittime che si potrebbero evitare – dice Vella – Chi parte, in cerca di un futuro migliore, spesso è inconsapevole dei pericoli a cui va incontro”. Uno dei ragazzi accolti, che ora collabora con il Centro, “vuole portare le conoscenze acquisite qui nel suo Paese per aiutare la sua famiglia a risollevarsi e informare chi vuole partire su quanto è pericoloso il viaggio – conclude Vella – L’idea è quella di una migrazione al contrario per chi lo desidera, perché non possiamo fermarci all’accoglienza ma dobbiamo provare a dare una svolta e un’opportunità di ritorno”. (lp)