La narrazione come “cura”: il silenzio di Angelo diventa poesia, grazie alla CAA
Angelo Signorello
A Milano un incontro promosso dalla Fondazione Benedetta D'Intino, per parlare di “Storie per vivere. La narrazione come cura ed espressione di sé”. Tra i protagonisti, Arcangelo Signorelli, 51 anni, tetraplegico, che comunica e scrive poesie grazie alla CAA
ROMA - Angelo Signorello, 51 anni, tetraplegico dalla nascita, è stato tra i protagonisti dell'incontro promosso da “Comunicare”, semestrale scientifico della Fondazione Benedetta D’Intino, da trent’anni anni impegnata a promuovere una cultura sul diritto alla comunicazione e al sostegno psicologico per bambini e ragazzi. L'incontro, nell’ambito della rassegna “Bookcity”, ha acceso i riflettori sul potere terapeutico della narrazione, attraverso le testimonianze di alcuni esponenti del mondo scientifico e letterario: Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoanalista, poeta; Donatella Di Pietrantonio, medico e scrittrice, autrice del grande successo “L’Arminuta”, di “Borgo Sud” e di altri romanzi di fama internazionale; Aurelia Rivarola, neuropsichiatra infantile e direttrice di “Comunicare”; Ilaria Dufour, psicologa psicoterapeuta e collaboratrice della rivista.
Testimone d'eccezione è stato Arcangelo Signorello: 51 anni, tetraplegico dalla nascita, non può muoversi da solo e nemmeno parlare, ma ha imparato a comunicare grazie alla Comunicazione Aumentativa Alternativa, in breve CAA, e al puntatore oculare. Angelo è stato tra i primi in Italia a beneficiare di questa area di pratica clinica e oggi, grazie alla CAA, è scrittore e autore di diverse poesie in dialetto siciliano. Insieme a lui. cera la neuropsichiatra infantile Aurelia Rivarola, pioniera della CAA, che lei stessa importò in Italia dal Canada negli anni ’80 e responsabile clinico scientifico del Centro Benedetta D’Intino, a cui Angelo deve in parte la sua capacità di comunicare con gli altri.
“Muzzicuni 19°” (tradotto, “Morso 19°”) è una delle poesie più suggestive di Signorello:
Pena granni patisci
cui nun sapi parrari
Misu dda
vidi
ascuta
s’aiuta
ma nudda bona arma
ci duna adènzia
Qualchi pazzu
ca âvi pacènzia e cori
lestu a lu vuliri canusciri
passa
e porta tanticchia d’abbentu
Viditi signuri
’a fami non è sulu
quannu ’a panza
addumanna ’u manciari
ma ’u cristianu âvi fami
puru ppi li palori ca vulissi diri
e nun veni caputu
Tannu
stu nuzzinteddu è furasteru
macari nun canciannu Paisi
Pena grande patisce / chi non sa parlare / lasciato là / vede/ ascolta / si sforza / ma nessuna anima buona / gli dà conto / qualche pazzo / che possiede pazienza e cuore / disposto al desiderio di conoscerlo / passa / e porta un poco di requie / Vedete signori / la fame non è soltanto / quando la pancia / domanda cibo / ma l’uomo che ha fame / anche delle parole che vorrebbe dire / e non viene compreso / Così tanto / questo poveretto è straniero / perfino senza cambiare Paese