La politica della paura: così il migrante diventa la “minaccia”
ROMA - Migrare è un rischio. C’è una connessione profonda tra il concetto di rischio e l’atto del migrare. E questo perché migrare è un rischio per la sicurezza economica, per l’identità nazionale, per la stabilità dei nuclei familiari, per la cultura ed anche per la sicurezza fisica delle persone. Ma migrare è un rischio per chi? Sicuramente, per chi decide di lasciare il proprio Paese sfidando delle rotte sempre più pericolose, riconfigurando la propria esistenza in un altrove di cui non conosce i caratteri. Per qualche ragione, però, in maniera sempre più consistente la percezione della “pubblica opinione” è ben diversa.
Per la stampa ed i media il “soggetto” di quel rischio non è tanto il migrante o la sua comunità di appartenenza, quanto la “comunità di destinazione”. Il rischio globale si trasforma in rischio interno. Ed in un movimento quasi automatico, l’attenzione si sposta di colpo sul tema della sicurezza pubblica. Si fa strada il concetto di “invasione”: uno degli espedienti utilizzati per smentire l’esigenza di accogliere. Il migrante “fa paura”e il “pericolo” diventa quello di concorrere alla creazione di nuovi ghetti, di accendere altri “focolai di criminalità” . La linea si fa sottile. Nuove motivazioni si uniscono alle vecchie, e dal pensiero dell’ “invasione” si arriva alla percezione della “minaccia”. Un passaggio pericoloso, che comporta un enorme rischio performativo. Quello, cioè, che l’uso di certe parole produca degli effetti concreti nel reale.
Solo nel periodo della cosiddetta Emergenza Nordafrica, tra il 2011 e il 2012, in cui abbiamo assistito alla stretta congiuntura tra gli effetti di una crisi interna e quelli di un’emergenza di respiro internazionale, sui media italiani il frame del rischio ha subito un’impennata impressionante. Oggi come allora, in particolare dopo i fatti di Parigi dello scorso13 novembre, il tema resta del tutto attuale.
Un team di ricercatori e docenti del progetto del PRIN (Politica estera italiana di fronte alle sfide del sistema internazionale: attori , istituzioni e politiche dell’Università La Sapienza di Roma) formato da Fabrizio Battistelli, Francesca Farruggia, Daniele Ferretti, Maria Grazia Galantino e Giuseppe Ricotta ha studiato il fenomeno in una ricerca durata quattro anni e distinta in quattro fasi.
Il progetto è nato dall’esigenza di unire la dimensione internazionale alla dimensione interna, nella convinzione che non si possano sganciare i due aspetti se si vuole comprendere a fondo la portata del fenomeno migratorio. Come cambia la percezione del migrante? Come i media restituiscono l’immagine di chi esercita il proprio diritto alla mobilità?
I ricercatori hanno analizzato circa 6840 articoli di giornale comparsi sulle 5 maggiori testate nazionali (Il Corriere della sera, il Fatto Quotidiano, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale) tra il 2011 e il 2012 ed hanno dimostrato che nella maggior parte di essi la rappresentazione della migrazione verso l’Italia è stata letta come una vera e propria minaccia per la sicurezza del Paese.
A partire da queste premesse, le altre fasi della ricerca si sono concentrate nell’analisi del caso delle aggressioni di Tor Sapienza dello scorso Novembre. La periferia romana, infatti, è stata oggetto un anno fa di una protesta che ha assunto i caratteri dell’odio e della discriminazione razziale. Alcuni cittadini dell’area Morandi-Cremona, ha assaltato il centro Sprar Giorgio Morandi, aggredendo in maniera violenta i richiedenti asilo che vi soggiornavano.
Dopo aver sottoposto un questionario, che affrontava vari temi, dal fenomeno dell’immigrazione, alle problematiche connesse al tema della sicurezza e della qualità della vita, ad un campione di 325 soggetti, i ricercatori hanno ottenuto un risultato diverso dalle aspettative. La maggior parte degli intervistati si mostrava contrario alla presenza di immigrati sul territorio più per ragioni legate alla possibile concorrenza sulla fruizione di spazi comuni o sull’accesso ai servizi sociali, che per aspetti relativi al rischio di criminalità.
Nell’ultima fase, un campione di 21 cittadini rappresentativi di diversi orientamenti politici ha partecipato ad una giuria deliberativa. Nel confronto, avvenuto dopo l’ascolto di numerosi interventi di vari esperti del tema, tra giornalisti, docenti e rappresentanti di Ong, i cittadini coinvolti (anche quelli inizialmente contrari) sono riusciti ad elaborare all’unanimità un verdetto sulla gestione partecipata del quartiere, individuando 5 proposte per facilitare l’inclusione dei migranti sul territorio: equa distribuzione delle persone, miglioramento dell’informazione e consultazione delle istituzioni e dei cittadini, coinvolgimento attivo di richiedenti asilo e rifugiati nella vita del quartiere, maggiore presenza delle istituzioni pubbliche e miglioramento della reciproca conoscenza tra autoctoni e stranieri.
“E’ evidente che i fatti di Parigi stiano avendo un effetto negativo sull’idea di convivenza tra autoctoni e immigrati, che, volontariamente o meno vengono associati al “terrorismo”. -. afferma il professor Fabrizio Battistelli – “Il fondamento non c’è, poiché la percentuale statistica di islamisti radicali tra i migranti presenti nel nostro territorio è minima. Esiste però un drammatico effetto alone, derivante dall’associazione di caratteri particolari alla sensazione di allarme. Le risposte secche che sentiamo in tv in questo periodo sono da imputare all’insofferenza di tante persone che si sentono “etichettate”, incasellate nella categoria di “altro”. E questo è sintomatico di un rischioso circuito involutivo autoaggravantesi, fatto di diffidenza, chiusura, e della produzione di ulteriore diffidenza”. (Marta Menghi)