19 gennaio 2017 ore: 11:29
Disabilità

La riforma del sostegno “tradisce” le associazioni. E riduce le ore

Dario Ianes (Università di Bolzano) commenta il decreto sull’inclusione della Buona scuola. “Non ha accolto nessuna delle istanze della proposta di legge Fish-Fand. La formazione non c’è, la continuità è una dichiarazione d’intenti. E ci sono meccanismi pensati per ridurre le ore di sostegno”

ROMA – La riforma del sostegno “non ha accolto nessuna delle istanze sollevate dalle associazioni”: lo afferma Dario Ianes, docente di Pedagogia e didattica speciale all'università di Bolzano e responsabile delle Edizioni Erickson. Intervistato da Redattore sociale per un “commento a caldo” sul decreto inclusione della Buona scuola approvato in Consiglio dei ministri sabato scorso, non nasconde la delusione per una riforma in cui pedagogisti e docenti avevano riposto grande fiducia.

Innanzitutto, “la formazione dei docenti semplicemente non c’è – osserva – Manca completamente quella per i curricolari, che era stata chiesta a gran voce, ma anche quella degli insegnanti di sostengo solo apparentemente viene aumentata. SI parla di 120 cfu (il doppio di quelli previsti finora) ma poi si specifica che 60 di questi possono essere riconosciuti sulla base di esperienze pregresse. Di fatto, sono convinto che per la scuola primaria si diventerà insegnante di sostegno con 60 crediti o poco più”.

Anche per quanto riguarda al continuità didattica, “altro cavallo di battaglia delle associazioni e delle famiglie, siamo di fronte a una semplice dichiarazione d’intenti: mancano i dispositivi per realizzarla. E il fermo di 10 anno previsto per il sostegno è pure questo aggirabile, visto che valgono anche gli anni pregressi”.

Ricorda, Ianes, che una bozza di riforma era stata presentata da Fish e Fand, come proposta di legge n. 2444: “ma è stata in buona parte tradita. Spariscono i livelli essenziali di qualità dell’inclusione, quindi non esistono criteri vincolanti per la valutazione dei processi inclusivi. Non c’è niente di innovativo, mancano le cattedre miste che avevamo chiesto, come pure qualsiasi altra forma di sperimentazione didattica”. C’è poi un aspetto, particolarmente critico, che riguarda il neonato Git (gruppo inclusione territoriale): “spetterà a questo chiedere le ore di sostegno: di fatto, sarà un filtro tra la scuola e l’ufficio scolastico regionale. E questo filtro sarà composto da tre dirigenti e 3 docenti. Si allontana così il ‘centro decisionale’: se prima le ore di sostegno erano decise dal gruppo di lavoro composto dagli insegnanti di classe e dai genitori e sulla base del progetto educativo individuale, ora sarà il Progetto educativo ad essere elaborato sulla base delle risorse concesse dal Git, che prende in considerazione la valutazione diagnostico-funzionale, in una sede staccata in cui non si conosce il ragazzo”. Praticamente, se da un lato questo può giustamente eliminare alcuni automatismi nell’assegnazione del sostegno, che partono da una concezione “sanitaria” e “quantitativa” della disabilità, di fatto “credo che sia un cambiamento dettato dalla necessità di ridurre le risorse ed evitare che gli insegnanti chiedano troppe ore: c’è dietro, insomma, un disegno di riduzione delle ore di sostegno”.

Nessuna traccia, poi, della “banca dati prevista nella proposta di legge 2444, come pure del coordinamento interministeriale, che sarebbe stato molto opportuno. In questa riforma, peraltro priva di risorse economiche, vedo per lo più meccanismi di tipo repressivo. L’unico investimento riguarda le scuole paritarie, a cui andrà un contributo economico proporzionale al numero degli alunni disabili. Per il resto, pochi e marginali gli aspetti evolutivi e innovativi”. 

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