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La rivincita delle aree interne. Ecco i “sogni concreti” dei giovani restanti
di Gianni Augello
Prima di tutto più partecipazione, poi una formazione che tenga conto dei loro desideri, ma anche più opportunità, cultura e welfare. In un documento, i giovani della rete Rifai con il supporto dell’Officina Coesione, tracciano una roadmap per il futuro delle aree interne del paese
Rete Rifai
ROMA - Gli under 40 promettono una “rivincita delle aree interne” italiane, ma chiedono prima di tutto più partecipazione e più coinvolgimento nei processi decisionali. È quanto si legge in un documento diffuso in questi giorni dall’Officina Giovani Aree Interne, progetto commissionato dal Comitato Tecnico Aree Interne e dal Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale per favorire il radicamento sociale della Strategia nazionale aree interne (Snai). Il documento, dal titolo “Proposte di policy dei giovani delle aree interne”, nasce dalle mani di un primo gruppo di giovani nell’ambito dei lavori dell’Officina, iniziati il 21 dicembre 2020 e che successivamente ha raccolto circa 400 adesioni, tra soggetti singoli e collettivi. Ai 400 partecipanti verrà affidato il compito di integrare il documento, con il supporto dei tecnici di Officine Coesione, per poi sottoporlo all’attenzione del governo, in primo luogo al ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Mara Carfagna, per far giungere anche a Roma i “sogni concreti” dei giovani che vivono - e che vogliono continuare a vivere - lontano dalle grandi città.
Aree interne e dove trovarle
Sebbene negli ultimi tempi se ne parli parecchio, non tutti sanno che le aree interne ricoprono ben il 60% del paese. Una bella fetta di paese su cui vive il 22% della popolazione italiana, cioè poco più di un cittadino su cinque. Nonostante i giovani siano circa il 20% della popolazione, però, nell’80% dei comuni non ci sono scuole superiori, senza contare le università. Ed è proprio così che inizia la fuga dai piccoli comuni, anche se una recente ricerca condotta dall’associazione Riabitare l’Italia afferma che non tutti i giovani vogliono andar via dalle aree interne. Più della metà di loro ha intenzione di restare, pianificando la propria vita e il proprio lavoro in questi territori. Una scelta - non una condizione dettata da altri fattori - dovuta in primo luogo all’attenzione alla qualità della vita dal punto di vista ambientale e sociale.
Immaginare un nuovo futuro
Il documento nasce dal confronto tra un primo gruppo di giovani della neonata Rete Italiana Facilitatori Aree Interne (Rifai)con il supporto dell’Officina Giovani Aree Interne. “Dopo più di 60 anni, il modello urbano-centrico è entrato in crisi. Si fa strada un nuovo modello che, accanto alle città, chiama in causa le Aree Interne per fare la propria parte nella ricerca di nuove strade di sviluppo sostenibile dell’intera nazione”, si legge nel documento. Tra i temi sul tavolo, c’è innanzitutto il “superamento delle disuguaglianze socio-economiche e territoriali tra città e Aree Interne”. Un “problema di democrazia”, sostengono i giovani, che richiama quella “dignità sociale” di cui parla l'articolo 3 della Costituzione Italiana. “Su questo documento lavoreranno tre tavoli per arrivare, a fine maggio, ad un documento definitivo - spiega Filippo Tantillo, responsabile delle Officine giovani aree interne -. Grazie ad un supporto tecnico tradurremo quelle ambizioni e desideri in un linguaggio comprensibile alla pubblica amministrazione. Al di là del Recovery fund, c’è tutta la programmazione europea che dovrà essere chiusa in quest’anno. Per cui a maggio c’è una finestra per far sentire la nostra voce”. E i giovani, sottolinea Tantillo, “sono il segmento di popolazione che esprime più desideri e che può immaginare più di altri come uscire da una situazione che oggi sembra priva di futuro”.
I giovani chiedono di più
Le proposte contenute nel documento ricalcano quelle del Manifesto della Rete Rifai e hanno come caratteristica comune il segno più: più partecipazione, più opportunità, più sostenibilità, più formazione, più cultura e più welfare. Non è un caso se la prima serie di proposte riguarda il loro coinvolgimento. “I ragazzi vivono una grossa frustrazione - racconta Maurizio Dematteis, direttore dell’associazione Dislivelli che sin dall’inizio ha promosso la nascita della rete Rifai -. In questo periodo si fa un gran parlare di nuovi montanari, di rinascita, però si fa poca attenzione a quelli che noi abbiamo definito i ‘restanti’: i ragazzi che nascono e crescono in questi territori. Sembra quasi che si dia più attenzione a chi fa una scelta netta di abbandonare la pianura e la città per andare a vivere in montagna, che non chi nasce lì e vorrebbe restarci. E allora, quello che chiedono i ragazzi è cercare di creare delle prerogative in questi territori perché loro possano restare lì e esprimere quello che hanno imparato, magari studiando in città o all’estero”. Per questo, la prima proposta riguarda lo “sviluppo di politiche orientate alla partecipazione di tutti i cittadini e in cui vengano favorite co-produzione delle politiche pubbliche e sperimentate forme di open government”. Tra le proposte quella di prevedere “la presenza di under 30” nei consigli comunali e creare “spazi, sportelli giovanili destinati all’ascolto e centri di accompagnamento e sviluppo delle idee”. Inoltre, è necessario “facilitare l’accesso dei giovani al dialogo con la pubblica amministrazione”. Immaginare un futuro diverso, scrivono nel documento, “significa creare, organizzare, accompagnare nuovi strumenti di partecipazione, cittadinanza attiva e monitoraggio civico, a tutti i livelli”. I giovani “si sentono emarginati e destinati ad andarsene fuori - racconta Tantillo -. Loro non contano. Non hanno voce in capitolo. Da qui la richiesta di una maggiore partecipazione, di spazi anche nella pubblica amministrazione, di tavoli permanenti di confronto con le amministrazioni”.
Non dobbiamo diventare per forza agricoltori o pastori
Un tema che sta particolarmente a cuore ai giovani delle aree interne è quello della formazione. Nel documento, i giovani chiedono di “poter rimanere a vivere nelle aree interne senza dover rinunciare ai sogni”. E questo è possibile solo con “un’offerta formativa capace di intercettare le possibilità lavorative che le stesse aree interne possono offrire - si legge nel documento -. Restare a vivere in montagna o nel resto delle aree interne italiane, non vuol dire dover per forza diventare agricoltori, pastori o spiattellatori di ski-lift. Crediamo che le areeinterne vadano viste comelaboratori di innovazione, a partire dall’offerta scolastica, passando per la digitalizzazione e l’imprenditoria di qualità”. Per Dematteis, le università e tutte le agenzie di formazione “giocano un ruolo enorme” in questi territori. “Nella nostra realtà piemontese, nel canavese, per esempio, il distretto legato alla metalmeccanica è andato in crisi da quando la Fiat ha lasciato Torino - racconta Dematteis -. Tuttavia, i corsi di formazione in quell’area sono ancora tutti votati alla metalmeccanica nonostante il settore sia in crisi. Quando in quelle zone hanno realizzato un pirogassificatore per utilizzare la risorsa bosco e legno per fare energia elettrica non c’era nessun tecnico capace di farlo funzionare”. Anche per questo, sul tema delle opportunità, i giovani delle aree interne sottolineano la necessità di creare dei “laboratori tematici” e delle “officine di condivisione” sui temi dello sviluppo locale, oltre che incentivare la cultura d’impresa e potenziare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Accanto al tema della formazione c’è quello della cultura. “Per partecipare ad iniziative culturali quasi sempre bisogna macinare chilometri - spiega il documento -. Eppure, la cultura dovrebbe essere uno strumento che unisce, crea reti, una cosa concreta e circolare, capace di mettere tutti insieme”. Una cultura capace di creare “occasioni per la nascita di reti territoriali utili al loro sviluppo” e di “far sognare” per “immaginare e scoprire aree interne più gioiose e visionarie”. Infine, non meno importanti, i temi del welfare. Servono luoghi di aggregazione e sostenere “nuovi modelli aggregativi di creazione di impresa”; sviluppare “forme di aggregazione dei bisogni delle persone per promuovere servizi di prossimità” e infine puntare su un trasporto pubblico a chiamata, perché gli attuali servizi di trasporto “non garantiscono standard di vita paragonabili a quelli delle città”.
La “rivincita” sognata in piena pandemia
Ma com’è nata l’idea di mettere in rete i giovani delle aree interne? “Il progetto nasce in una piccola valle del Piemonte, in provincia di Cuneo: la Valle Stura”, racconta Dematteis, dove un progetto di promozione del territorio, a causa del lockdown, ha scatenato qualcosa di più grande. “Abbiamo fatto un incontro con altre due comunità di giovani: una del Friuli Venezia Giulia e l’altra della Sicilia, supportati anche dalla Snai, e l’Officina giovani aree interne ci hanno spinto a creare una rete nazionale. Ci voleva un’associazione dal basso che riuscisse a mettere insieme visioni e punti in comune delle comunità giovani delle aree interne in un’associazione nazionale. Ed ecco che nasce Rifai. Da poco più di una settimana abbiamo messo online il sito con un manifesto. Siamo partiti da una trentina di giovani, una decina per le tre regioni, ma abbiamo già l’adesione di altri giovani provenienti da Valle d’Aosta, Puglia, Sardegna e Marche. Le candidature verranno validate dal Cda dell’associazione Rifai”.
A che punto è la Strategia nazionale aree interne
Sono 72 le strategie sperimentali approvate su tutto il paese. A fare il punto è lo stesso Filippo Tantillo, che per anni è stato coordinatore scientifico della Snai, prima di occuparsi in modo specifico del coinvolgimento strategico dei cittadini e dei giovani. “Alcune strategie sono già partite, altre sono a livello di accordo di programma quadro - spiega Tantillo -. L’operazione è stata meno lenta di quanto si racconta perché le aree sono partite una per una e la media di progettazione è stata di 2 o 3 anni, che non è poco, ma d’altra parte è qualcosa di nuovo: un percorso partecipato”. E la partecipazione, in queste aree, non è sempre facile da garantire. “Bisogna fare un lavoro di prossimità, andare a camminare sui territori, sporcarsi le scarpe - racconta Tantillo -. Per fare questo è stato montato un dispositivo della pubblica amministrazione che non era mai stato sperimentato, ossia un comitato con un team operativo che è andato sui territori e li ha affiancati. Un team che tendenzialmente non usciva mai dai ministeri”. Non è solo una questione di risorse, chiarisce Tantillo. “Queste aree hanno ricevuto molti finanziamenti nelle programmazioni precedenti, ma nella sostanza hanno prodotto ricchezze individuali e zero beni pubblici e soprattutto la gente è andata via lo stesso - racconta Tantillo -. Quindi qualcosa non ha funzionato. Per questo abbiamo deciso di andare sui territori e facilitare quei processi che provano a partire, anche dai giovani”.
Non siamo ancora fuori dal tunnel
La Snai, la rete Rifai, l’attenzione rinnovata alle aree interne, il ritorno alla montagna: tutto fa ben sperare, ma c’è ancora molta strada da fare. “Non siamo ancora all’uscita dal tunnel - spiega Dematteis -. Bisogna ancora rivedere i rapporti tra città e montagna, quindi non più un’antitesi tra una città che catalizza l’innovazione e gli investimenti e il resto del paese che viene abbandonato, ma bisogna ritessere dei rapporti perché una realtà ha bisogno dell’altra. Se la città ha dei deficit ambientali, di servizi ecosistemici, di materie prime, la montagna ha un deficit di servizi, di vivibilità del territorio e bisogna mettere insieme queste due aree. La Snai sta lavorando a questo, ma è un progetto pilota”. Quel che serve, spiega Dematteis, è una “politica multilivello”. “Siamo all’inizio, ma il momento è buono: il modello urbano presenta un po’ di fiato lungo per questioni di crisi economica, sociale e culturale e si inizia a vedere questi territori con altri occhi”. E i giovani, in questo contesto, rappresentano una risorsa non solo delle aree interne. “È tutto il territorio nazionale che sta perdendo popolazione - conclude Tantillo -, per questo, molto del futuro del nostro paese si gioca nelle aree interne”.