La salute mentale non è solo un affare da psichiatri. Treviso punta sulla “rete”
TREVISO - La crisi economica non solo ha accentuato i problemi di salute mentale, ma ne ha anche fatto emergere nuove forme. Per questo oggi non può più essere solo un affare da psichiatri: occorre che tutta la comunità se ne faccia carico.
- È il ragionamento che sta dietro le “Giornate di sensibilizzazione per la salute mentale” in corso a Treviso e che vivranno domani l’evento centrale con un dibattito in cui si confronteranno le varie “anime” del territorio, dalle categorie produttive, al volontariato, ai servizi socio-sanitari e scolastici, alla cooperazione sociale. Soggetti che in questi mesi sono stati tutti sollecitati a compilare un questionario di domande aperte che aveva l’obiettivo di analizzare l’esistente e soprattutto di pensare nuovi interventi futuri. La serie di incontri, aperta martedì 16 giugno con due mostre di fotografie e documenti sul vecchio ospedale psichiatrico Sant’Artemio, è organizzata dalla Azienda Ulss 9 di Treviso e coordinata dal direttore del dipartimento salute mentale Gerardo Favaretto.
“La crisi economica e sociale – spiega lo stesso Favaretto - ha lasciato un segno profondo nella società, determinando difficoltà anche emotive e personali, di sofferenza delle famiglie e dei soggetti più fragili. L’attività dei servizi per la salute mentale segnala in modo sempre più netto alcune figure rappresentative. Penso a giovani esposti all’uso di sostanze che provocano dipendenze, isolamento sociale o mancanza di motivazioni e di opportunità, fino a sfociare in alcuni casi di depressione, di disturbi del comportamento alimentare e, per le situazioni più gravi, nell'esordio di disturbi mentali più importanti. O alle persone sole o emarginate, alle donne che riescono sempre meno a svolgere il ruolo di madre e di riferimento per la famiglia”.
“E mentre le famiglie – prosegue Favaretto – hanno timore a rivolgersi ai servizi competenti, su queste figure pesa il pregiudizio e lo stigma, cosa che aggrava i problemi. Senza la condivisone della comunità, delle istituzioni, della rete formale ed informale oggi non è più possibile trovare soluzioni efficaci, si rischia anzi di ricondurre tutte queste storie di vita alla follia, con la necessità di confinarla ed escluderla”.
C’è insomma urgente bisogno di una “rete” che coinvolga istituzioni, associazioni e famiglie, ed è questo l’appello che verrà lanciato nel convegno di domani. Del resto, non sono rassicuranti le cifre diffuse dal dipartimento salute mentale di questa provincia collocata al centro di una regione che ha registrato in questi anni anche numerosi casi di suicidio legato a questione economiche. 5.791 sono stati i pazienti seguiti nel 2014 rispetto ai 5432 del 2012 (+359). L’anno scorso i nuovi casi sono stati 2.053, 137 in più di quelli che si registravano tre anni fa. L’1,4 della popolazione è seguita dai servizi per la salute mentale.
Dei 5971 pazienti (circa l’1.4% della popolazione generale), 110 sono ospitati in strutture residenziali (dei quali 36 in Comunità riabilitative protette) e quasi3.000 sono seguiti con una elevata intensità assistenziale. Ogni anno vengono erogate oltre 100.000 prestazioni (visite mediche, visite psicologiche, colloqui, ecc.): oltre 35.000 da parte di medici e psicologi e quasi 65.000 da parte di altro personale qualificato.
Rilevanti anche i dati specifici del Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare che dal 2009 al 2014 ha registrato oltre 1.100 pazienti e il numero medio di 200 cartelle cliniche aperte e 3.500 prestazioni erogate all’anno. I pazienti afferenti sono in buona parte casi di anoressia (41%) e bulimia (27%) in età ampiamente compresa sotto i 25 anni.