La sanità made in Bologna diventa un modello in Madagascar
La casa dei gechi dove alloggiano i volontari
BOLOGNA – Era il 2006 quando un gruppo di medici bolognesi in vacanza visitarono, quasi per caso, una piccola comunità malgascia di pescatori e il loro villaggio, Andavadoaka, sulla costa occidentale del Madagascar. Nessuna struttura sanitaria nel raggio di centinaia di chilometri: l’idea arrivò subito, e immediata fu la sua realizzazione. Il 15 ottobre del 2008, esattamente 10 anni fa, venne inaugurato un primo ambulatorio, trasformatosi negli anni in un vero e proprio ospedale. Venne battezzato “Vezo”, il nome dell’etnia che vive nel villaggio, una delle 18 presenti sull’isola. Copre un territorio compreso in un raggio di circa 200 chilometri quadrati e offre servizi a una popolazione di circa 200mila abitanti distribuita in quasi 180 villaggi. Dalla sua costruzione a oggi è sempre stato attivo: garantisce prestazioni clinico-assistenziali e di emergenza 24 ore su 24, 7 giorni su 7. L’ospedale Vezo, 800 metri quadrati, è stato costruito su un terreno indicato e messo a disposizione della comunità locale.
“La sua peculiarità – spiega Sandro Pasotto, medico, che con sua moglie Rosy Tassinari, infermiera, diedero vita al progetto – è che opera solo con volontari italiani in missione. Mediamente 100 ogni anno, con una presenza media di circa 8 professionisti al giorno”. Al progetto aderiscono medici, infermieri, tecnici, terapisti, altri professionisti sanitari e logistico-organizzativi provenienti da tutta Italia. Non solo: tanti anche i professionisti italiani che lavorano all’estero: Inghilterra, Irlanda, Francia, Sudamerica. “Usano le ferie o chiedono l’aspettativa – spiega Vito Pedrazzi, presidente dell’Associazione Amici di Ampasilava, nata per supportare il progetto (Ampasilava è il nome di un villaggio vicino ad Andavadoaka, ndr) –. Molti sono professionisti in pensione, che scelgono di dedicare al volontariato questa nuova parte della loro vita. E molti sono i giovani neolaureati o in specializzazione che si prendono un anno sabbatico. Si fanno carico delle spese del lungo viaggio – che può durare anche due o tre giorni –, pagano una diaria per il vitto, alloggiano in una struttura ad hoc che abbiamo costruito, l’abbiamo chiamata ‘La corte dei gechi’, affaccia su un baobab e i gechi sono di casa. E quando tornano ci ringraziano”.
L'ospedale |
Ogni anno 25/30 mila persone si rivolgono all’ospedale. “In questi primi 10 anni di vita abbiamo seguito 200 mila persone, contando sull’appoggio di oltre 600 volontari”, continua Pedrazzi. Dall’ottobre del 2008 al 31 dicembre 2017 sono state realizzate 186 mila visite, sono stati effettuati 35 mila esami di laboratorio e 2.600 interventi di chirurgia generale e specialistica. “Da noi le cure sono gratuite – spiega Augusto Cavina, coordinatore del Comitato scientifico dell’associazione –. La sanità in Madagascar è a pagamento, anche negli ospedali pubblici”. I posti letto sono 15, c’è una sala travaglio; una sala degenza per mamma e bambino; una sala operatoria; una sala di sterilizzazione; due ambulatori generalisti; tre ambulatori specialistici (oculistica, ginecologia, fisioterapia, odontoiatria); un ambulatorio per le medicazioni; una sala di diagnostica per immagini; la radiologia digitale che, abbinata alla telemedicina, consente la lettura delle immagini anche dall’Italia; un laboratorio analisi e una farmacia.
L'associazione sostiene le attività dei volontari anche attraverso un percorso formativo da seguire prima della partenza e che prosegue anche in loco. “In ospedale prestano la loro attività anche alcuni mediatori culturali che garantiscono la necessaria comunicazione tra professionisti e utenti – 80, 100, 120 al giorno –. Coinvolgiamo la popolazione locale anche nella gestione delle attività di supporto. Il credito riscosso dalla nostra attività in loco è enorme – sorride Pedrazzi –. Il nostro personale è sempre spalleggiato dalla popolazione. Non abbiamo mai avuto nessun problema”.
La casa dei gechi dove alloggiano i volontari |
“Le autorità malgasce si sono subito interessate al progetto dell’ospedale – sottolinea Gilberte Randriamahavorisoa, direttore dell’Agenzia della rete nazionale ospedaliera presso il ministero della Salute pubblica del Madagascar, in visita sotto le Due Torri in questi giorni per il decennale della struttura –. È sorto in un’area pressoché inaccessibile”. Obiettivo, adesso, è dare continuità al progetto formando personale locale: “Abbiamo chiesto al governo di assumere un chirurgo, un’infermiera o un’ostetrica locale, ci ha promesso che lo farà. La formazione e l’impiego di personale locale sono impegni prioritari. Non dimentichiamo che il 65 per cento della popolazione malgascia ha meno di 25 anni”, sottolinea Cavina.
Sono in fase avanzata di studio/realizzazione anche altri due progetti: il primo prevede che l’ospedale diventi uno dei punti di riferimento della rete nazionale per la cura della tubercolosi; il secondo, rivolto a mamma-bimbo, è invece finalizzato alla prevenzione e alla gestione dell'emergenza chirurgica ostetrica.
“In questi giorni di permanenza in Italia di Gilberte Randriamahavorisoa l’abbiamo portata a visitare tutti i nostri ospedali – spiega Cavina, che 10 anni fa tenne a battesimo l’ospedale Vezo nella veste di direttore generale dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna –. Siamo grati alla direzione dell’Azienda Usl di Bologna e al Policlinico Sant’Orsola per l’accoglienza. Tutti i professionisti che abbiamo incontrato si sono dimostrati molto gentili, e molto orgogliosi del modello della sanità emiliano-romagnola. Ora ci piacerebbe migliorare le relazioni con il governo malgascio per far sì che il suo servizio sanitario territoriale assomigli sempre più a quello eccellente italiano”. (Ambra Notari)