La solitudine di chi non può contare su nessuno e l'aiuto delle reti
Da destra: Romina Fraboni, Marco Lunghi, Eleonora Belviso e Marco Reggio
Da destra: Romina Fraboni, Marco Lunghi, Eleonora Belviso e Marco Reggio |
CAPODARCO DI FERMO - La dimensione del fenomeno della solitudine in Italia secondo la rappresentazione statistica parte da un dato: nel 1998 vivevano sole 4,6 milioni di persone, nel 2016 il dato è salito a 7,7 milioni, dai giovani single agli anziani vedovi. Il dato si inserisce in un quadro composto dall'aumento dell'invecchiamento della popolazione, dalla lunga permanenza dei giovani nella famiglia di origine, dalla bassa fecondità, dalla crescita delle separazioni e dei divorzi e dalla diffusione di nuove forme di unione. Al seminario "Solitudini" di Redattore Sociale, il quadro di questa trasformazione sociale è stato illustrato da Romina Fraboni, ricercatrice dell’Istat nell'ambito della sessione dal titolo "Dai numeri all'ascolto", condotta dalla giornalista di Radio 1 Eleonora Belviso.
"L'Italia - ha spiegato - è prima in Europa per la speranza di vita e seconda nel mondo soltanto al Giappone: nel 2018 gli anziani sono 13 milioni e 644 mila, con prevalenza nella fascia d'età 65-74 anni. Ma l'Italia è anche il paese con la più bassa fecondità e la più alta età media al parto. Nel 2017 il numero medio di figli per donna ha continuato a diminuire raggiungendo 1,32 (il minimo è stato 1,19 nel 1995 ma aveva ripreso a crescere fino al 2010 con 1,45 figli per donna, dopo quella data è ricominciato a scendere). Inoltre si sono ridotti i componenti della famiglia: sono diminuiti i nuclei numerosi e quelli con più generazioni che coabitano. Le coppie con figli sono il 34% delle famiglie. Sono cresciuti i caregiver, arrivati a 16 milioni di persone ed è aumentata la loro età. In questo quadro si inserisce il dato della percezione del benessere, data dalla consapevolezza di poter contare sull'aiuto di una rete di parenti, amici o su associazioni. Circa 3 milioni di persone dai 14 anni in su dichiara all'Istat di non poter contare su nessuno. Di contro, al crescere della rete familiare e associativa il benessere percepito aumenta, anche tra le persone sole".
Un'altra sfaccettatura della solitudine viene dall'analisi della situazione economica delle famiglie italiane, vista dal particolare punto di vista delle banche di comunità e illustrata da Marco Reggio, responsabile Ufficio comunicazione e relazioni esterne di Federcasse. Secondo Reggio, la nuova fascia di marginalità - dove si annidano nuove solitudini e povertà - è quella tra i 45 e i 54 anni. Con particolare "attenzione a due situazioni borderline: la ludopatia e l'usura". "L'azzardo - ha spiegato Reggio - è una trappola che sta distruggendo le famiglie ed è una problematica nascosta perché chi ne soffre se ne vergogna". Per quanto riguarda l'usura, ha spiegato Reggio - "le banche di comunità nascono proprio per ovviare a questo problema, perchè danno il credito a persone che altrimenti ne sarebbero escluse e per disegnare un modello di banca che va fuori dal mainstream, creando relazioni virtuose e generando valore aggiunto".
Tra le risposte alla solitudine c'è quella che viene dal volontariato e in particolare dall'ascolto. Come ha testimoniato Marco Lunghi, presidente dell’associazione “Telefono voce amica Firenze”, attiva da 50 anni. Il numero 0552478666 è attivo dalle 16 alle 6, ogni giorno. I volontari riescono a gestire circa 18 mila chiamate l'anno, 50 al giorno. "La nostra - ha spiegato Lunghi - è stata la prima associazione che ha attivato l'ascolto telefonico in Italia, con l'obiettivo di rivolgersi a tutti, a chi si sente solo e non ha nessuno con cui parlare. Quando si mettono al telefono, i nostri volontari non sono esperti, dimenticano di essere psicologi o terapeuti, ma hanno un solo obiettivo: ascoltare". "Tutti vuol dire tutti - ha proseguito Lunghi - : la maggioranza delle persone che ci chiamano hanno difficoltà a stabilire relazioni umane e noi le accogliamo con il sorriso sulle labbra, cercando di essere empatici, essendo disponibili, non giudicando. Il nostro obiettivo non è affrontare il problema, ma mettere queste persone in una situazione di relazione con un essere umano che non giudica, una presenza, come se fossimo una casa con le finestre sempre illuminate. Si tratta di persone che non hanno possibilità di stabilire un contatto, sono sole, e noi le ascoltiamo. C’è chi ci racconta sempre la stessa storia, che noi accogliamo ogni volta". E ancora, ha sottolineato Lunghi: "Non abbiamo statistiche sulle chiamate che riceviamo, garantiamo l'anonimato, non chiediamo niente e non prendiamo nota di niente".
Infine la formazione: "I nostri volontari seguono un percorso che dura almeno 6 mesi. E' difficile trovare persone con doti personali in grado di fare il nostro tipo di volontariato, chi non ha una forte motivazione abbandona. Ma posso dire che abbiamo volontari che sono con noi da 40 anni, e che tramite questo servizio sono entrate in contatto con una umanità ricca e variegata". (ab)