La storia di Lorena, “giornalista rara” e resiliente
La malattia e il lavoro da freelance, tra difficoltà quotidiane e ricerca di soluzioni. “Abbiamo bisogno di scegliere persone e tempi per svolgere i nostri compiti”. Fare rete oltre la solitudine: il network come possibile risposta
NOVARA – Lorena Politi, trentasei anni, giornalista: la gavetta da cronista nel Novarese, dove vive, e diverse esperienze da comunicatrice e ufficio stampa. Si definisce “giornalista rara” o anche “freelance rara”, perché il suo lavoro di tipo libero-professionale lo svolge convivendo tra difficoltà e resilienza con la malattia di Behcet. Una sindrome che compromette il sistema immunitario e che rientra nella vasta gamma delle malattie rare, così definite perché il numero di casi su una data popolazione non va oltre una certa soglia predefinita, sebbene le persone colpite da queste patologie non siano poche: due milioni in Italia e decine di milioni in tutta Europa, come specifica sul suo sito l’Osservatorio Malattie Rare (Omar).
Ma cosa significa per una giornalista vivere da “freelance rara”? “Intanto - spiega Lorena - vivi la difficoltà di dover seguire i protocolli terapeutici e di dover fare analisi e controlli. La nostra agenda lavorativa e personale può essere stravolta da un momento all’altro a causa di problematiche dell’ultimo minuto e questo significa non essere sempre disponibili rispetto ai tempi e alle esigenze delle testate giornalistiche”. E però le soluzioni, come scrive Lorena sul suo blog www.lorenapoliti.com, possono e devono esserci: “Non ho la ricetta perfetta, ma sono sempre stata certa, e lo sono ora più che mai - dice la giornalista -, che noi ‘freelance rari’ abbiamo bisogno di calma e di fare delle scelte. Scegliere soprattutto le persone, i tempi e le modalità con cui svolgere semplici o difficili compiti”.
Un diritto a tempi e modalità di lavoro sostenibili che Lorena rivendica anche attraverso il suo blog, con cui racconta di sé, coltiva relazioni, cerca opportunità professionali secondo i ritmi della propria esistenza. “Adesso - avverte - preferisco vivere di blogging e di incertezza piuttosto che campare di stress e di battutine del tipo “non sei come prima”, “non rispetti gli accordi”, “così non possiamo andare avanti a collaborare” e cose del genere”.
Oltre al blog c’è il Freelance Network Italia, una rete di professioniste professionisti della comunicazione e non solo nato a Milano e di cui Lorena fa parte: “Il network - racconta la giornalista - è fondamentale per sentirsi utile, accettato, trattato come un professionista che vale per quello che sa dare”. Insomma: “Freelance come me che possono darsi una mano l’un l’altro. Un gruppo - continua Lorena - che mi ha dato la spinta per andare avanti e dire a me stessa che posso farcela”.
Risalire la china è dunque possibile se si sta insieme, pur mantenendo la propria autonomia: di ciò Lorena è convinta. Così come è convinta dell’importanza della formazione continua, quella sperimentata con il network milanese, ma anche seguendo corsi promossi dall’Ordine dei giornalisti: “Alcuni considerano questi corsi una seccatura, per me invece significano mettermi in gioco, parlare, confrontarmi, sentirmi ancora viva”.
A queste conclusioni Lorena arriva dopo aver sperimentato la frustrazione dello sfruttamento: lavori occasionali sulla carta, ma nei fatti assorbenti, precari e sottopagati. Ricorda la sua prima collaborazione per un giornale cartaceo di Novara: giorni, mesi, anni a raccontare di tutto e di più dal suo territorio di riferimento, la Bassa Novarese, fino a diventare nel 2011 giornalista pubblicista. E ricorda i ritmi pressanti da cronista per un giornale online della sua città: politica, attualità, spettacoli, i fatti di Novara, ma anche quelli di respiro regionale e nazionale, fino alle cosiddette “brevi di cronaca” da lanciare online con cadenze divenute per lei sempre più insopportabili. “Andai in tilt davvero, anche fisicamente, con sintomi mai visti prima”, testimonia Lorena a proposito di quel periodo scandito da stanchezza, solitudine e paura.
La mente poi torna a quel pomeriggio di settembre del 1996 a Verbania: quel giorno Lorena si trova al campetto sportivo con i suoi pattini quando d’improvviso cade. Da qui la corsa in ospedale, l’ingessatura alla gamba sinistra e quei noduli comparsi nel mezzo dell’elettroterapia. Un episodio che segna l’inizio di un continuo peregrinare tra analisi e ricoveri “negli ospedali di mezzo Nord Italia” alla ricerca di una diagnosi. Un tour che va avanti dal ’97 al 2011, quando, dopo quattordici anni, al “San Raffaele” di Milano danno il nome alla malattia, “alla bestia - per dirla con le parole di Lorena - che mi faceva tanto soffrire e sentire diversa, ma che non mi ha mai piegata nella voglia di fare”. Quattordici anni fatti di risposte sperate e mai arrivate, di giorni di scuola persi, ma anche di lontananza dagli amici, compresi quelli, tanti, “che mi hanno sempre vista come un peso, come quella malata e tra mille difficoltà”.
Dopo la diagnosi, altri viaggi alla ricerca di un trattamento per consentire il più possibile un miglioramento della qualità di vita: prima al “San Raffaele”, poi a Siena, poi di nuovo al “San Raffaele”, dove “mi hanno sottoposta alla sperimentazione di un nuovo farmaco”. Una sperimentazione “che si sta comportando abbastanza bene”, dice Lorena. Che si definisce “un po’ scaramantica” pensando alle delusioni di quando “il farmaco che di volta in volta ti propongono perde di efficacia e i sintomi arrivano quando meno te lo aspetti, magari nel bel mezzo di un lavoro importante”.
Nonostante questo, nonostante tutto, Lorena va avanti: “Sto raggiungendo il mio equilibrio”, dice sicura. La “giornalista rara” guarda alle esperienze del passato sentite come benefiche per sé e per gli altri: il volontariato, l’associazionismo a supporto delle persone con la sua stessa malattia, “l’occhio di riguardo per la disabilità” al centro del suo lavoro giornalistico. Oggi, invece, scommette sul suo blog, ancora sul giornalismo, sul network milanese, sulla logica di squadra oltre la solitudine. Prosegue il suo viaggio, Lorena, e quel treno che da Novara la porta spesso a Milano è per lei il treno del cambiamento possibile e della speranza sempre accesa.