La Svizzera anti-immigrati in cento anni di cartelloni politici
ROMA - La mostra si intitola “Lo straniero in cartellone. Alterità e identità nei manifesti politici svizzeri dal 1918 al 2010” ed è stata concepita dai ricercatori Francesco Garufo dell’Istituto di Storia dell’Università di Neuchâtel e da Christelle Maire del Forum svizzero sugli studi delle migrazioni e della popolazione. Un’esposizione, ora a Lugano, composta da 52 cartelloni da guardare con maggiore attenzione, alla luce del recente referendum “contro l’immigrazione di massa” promosso dall’Unione di centro (Udc), il partito conservatore e xenofobo di Christoph Blocher. La votazione, com’è noto, ha visto la vittoria del “sì” con il 50,3%, (con uno scarto di appena 19.516 schede) e punta a rigettare la libera circolazione delle persone in vigore con la Ue ed a reintrodurre le quote di ingresso per i lavoratori stranieri.
A giudicare dai manifesti, negli ultimi cento anni sembra che poco sia cambiato in Svizzera nella percezione degli stranieri, specie in occasione di qualche elezione politica.Nei cartelloni c’è un fiorire di muri alzati, di Nein! o Stop! scritti a caratteri giganteschi, di slogan contro “gli abusi” sul diritto di asilo, di pecore nere scalciate fuori dai confini da quelle bianche, di minareti che somigliano a missili, di piedi e braccia scure che provano a forzare la porta di uno dei Paesi più ricchi del mondo, di volti arabeggianti dai lineamenti sinistri che portano con sé droga, violenza e terrorismo.
La mostra ha aperto la settimana contro il razzismo 2014 (21-28 marzo); inaugurata open air sul lungo lago a Neuchâtel (dove nell’aprile 2013 fu distrutta da vandali e poi messa sotto sorveglianza privata), prima di viaggiare per altre città della Svizzera e arrivare a Berna, adesso sosta a Lugano, in quel Ticino al quale soprattutto la popolazione del cantone francese, che ha più frontalieri rispetto al cantone italiano, attribuisce il disastro del referendum sull’immigrazione temendo le reazioni di Bruxelles. Il Ticino è spesso considerato dagli altri svizzeri un misto di mala politica e di propaganda populista: territorio stretto, chiuso su tre lati, meno ricco del resto della Svizzera. Se i ticinesi cinquantenni lamentano la perdita del lavoro perché “il frontaliero costa la metà”, sono le stesse aziende ticinesi a volere questa situazione di comodo, praticando politiche di assunzione mirate in tal senso.
In Ticino cresce la Lega dei Ticinesi (che in un manifesto dipinge “in panciolle” sia i rifugiati, sia i disoccupati mentre solo il ticinese lavora) e le leggi non cambiano poiché i politici cantonali vogliono mantenere lo status quo: lo straniero, il frontaliero è utile perché consente di mantenere più bassi i salari e le aziende aumentano i profitti. Però adesso la Svizzera, dove perde il referendum per fissare un tetto agli stipendi dei grandi manager e dove vince quello per bloccare i lavoratori immigrati e frontalieri provenienti anche dall’Europa occidentale, potrebbe subire conseguenze ancor più pesanti da parte dell’Unione europea (l’intera revisione delle relazioni euro-svizzere, compreso il negoziato sullo scambio di informazioni in ambito bancario) che, nel frattempo, ha già sospeso i programmi di scambio di studenti Erasmus+ e di ricerca Horizon 2020. (Paolo Giovannelli)