17 febbraio 2015 ore: 12:32
Immigrazione

Lampedusa, Amnesty incontra i sopravvissuti: "I loro racconti spingano l'Ue ad agire"

Il racconto di Lamin, una delle testimonianze raccolte da Amnesty International: "Eravamo in 107, in alto mare, le onde hanno iniziato a sballottarci. Avevamo tutti paura. Ho visto tre di noi cadere in acqua e nessuno ha potuto aiutarli". Amnesty sollecita gli stati dell’Ue a prevedere operazioni collettive e coordinate di ricerca e soccorso lungo le rotte usate dai migranti
Gruppo di immigrati, stanchi e disperati

ROMA - Col passare dei giorni emergono ulteriori particolari riguardo la tragedia dell'8 febbraio scorso, in cui sono morte oltre 300 persone a largo di Lampedusa.
Al termine di una visita effettuata sull'isola, Amnesty International ha denunciato che le limitate risorse messe a disposizione dall’Unione europea per le operazioni di ricerca e soccorso in mare hanno contribuito all’aumento del numero dei morti. Tesi avvalorata dal racconto dei sopravvissuti, dai rappresentanti della Guardia costiera e dalle autorità locali, incontrati a Lampedusa e a Roma da Amnesty.

Secondo quanto emerso, l'8 febbraio nel momento del lancio dell’sos da uno di quattro gommoni in viaggio, la principale imbarcazione usata nell’ambito dell’operazione europea Triton era ormeggiata a Malta, a centinaia di chilometri di distanza, per manutenzione. Le grandi navi militari usate nell’operazione italiana Mare nostrum, non più operativa, erano a loro volta fuori uso, ferme in Sicilia.

“Le autorità della Guardia costiera hanno risposto in modo ammirevole e con eccezionale coraggio personale all’sos, trascorrendo lunghe ore in mare in condizioni incredibilmente avverse. È impossibile sapere quante vite avrebbero potuto salvare con maggiori risorse, ma il numero dei morti sarebbe stato probabilmente minore” – ha dichiarato Matteo de Bellis, responsabile delle campagne sull’Italia presso il Segretariato internazionale di Amnesty International, appena rientrato da Lampedusa. “Fino a quando il vuoto lasciato dalla fine dell’operazione di ricerca e soccorso Mare nostrum non sarà colmato, rifugiati e migranti continueranno a morire in massa nel Mediterraneo” – ha commentato de Bellis.

Le partenze di migranti e rifugiati sono aumentate nel corso del fine settimana e continueranno a farlo mentre la Libia sprofonda nella violenza. La Guardia costiera italiana ha confermato che i suoi mezzi, insieme alle navi mercantili, hanno soccorso tra il 13 e il 15 febbraio oltre 2800 persone a bordo di almeno 18 imbarcazioni; solo il 15 febbraio sono state soccorse 2225 persone a bordo di oltre 10 imbarcazioni.

La partenza dalla Libia. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, 400 migranti, in buona parte giovani provenienti dall’Africa occidentale, avevano preso il mare dalla Libia. I trafficanti li avevano trattenuti nei pressi della capitale Tripoli e si erano fatti pagare 650 euro a testa. La sera del 7 febbraio, uomini armati li avevano trasferiti al porto di Garabouli, 40 chilometri a ovest di Tripoli, facendoli salire a bordo di quattro gommoni. Solo la mattina dopo, i migranti si sono resi conto di essere in grave pericolo.

L’Sos. I rappresentanti della Guardia costiera hanno detto ad Amnesty International di aver ricevuto una chiamata da un telefono satellitare nel primo pomeriggio dell’8 febbraio, da un punto localizzato a 120 miglia nautiche a sud di Lampedusa e a 74 miglia nautiche a nord della Libia. Nella telefonata, pressoché incomprensibile, sono state colte le parole “pericolo, pericolo” in lingua inglese. "In quelle circostanze - hanno proseguito i rappresentanti della Guardia costiera - i migranti erano pressoché destinati a morte certa. Infatti, il bollettino del mare per quella zona del Mediterraneo era stato pessimo per tutta la settimana. Inoltre, le imbarcazioni avevano piccoli motori fuoribordo che i trafficanti non avevano riempito del carburante necessario alla traversata".

Le voci dei sopravvissuti. Secondo i racconti dei sopravvissuti, sono morte oltre 300 persone. I migranti, molti dei quali indossavano vestiti leggeri, sono rimasti esposti per due giorni a temperature prossime allo zero, pioggia, grandine e onde alte fino a otto metri.   “Alle 7 di sera di domenica - ha raccontato Ibrahim, un uomo di 24 anni proveniente dal Mali - il gommone ha iniziato a sgonfiarsi e a riempirsi d’acqua e chi era a bordo ha cominciato a cadere in acqua. A ogni ondata, cadevano due o tre persone. La prua si alzava e chi era a poppa finiva in mare. A un certo punto eravamo rimasti solo in 30. Ci siamo attaccati alla corda del lato che stava ancora a galla, l’acqua saliva fino alla pancia. Poi siamo rimasti in quattro. Abbiamo resistito tutta la notte. Pioveva. All’alba, due sono scivolati via. La mattina abbiamo visto un elicottero. Ho raccolto una maglietta rossa che galleggiava nell’acqua e l’ho agitata perché potessero vederci. Hanno lanciato un piccolo canotto gonfiabile ma non avevo più le forze per raggiungerlo. Abbiamo aspettato ancora. Un’ora dopo, è arrivata una nave, ci hanno lanciato una corda e siamo saliti a bordo. Erano le tre del pomeriggio (del 9 febbraio ndr)”.

Lamin, a sua volta proveniente dal Mali, era sull’altro gommone soccorso da una nave mercantile: “Eravamo in 107. In alto mare, le onde hanno iniziato a sballottarci. Avevamo tutti paura. Ho visto tre di noi cadere in acqua e nessuno ha potuto aiutarli. Hanno cercato di rimanere attaccati al gommone ma non ce l’hanno fatta. Quando è arrivata la grande nave commerciale a soccorrerci, eravamo rimasti solo in sette. Ci hanno lanciato una corda e siamo saliti a bordo. Durante i soccorsi, la nostra barca si è spezzata in due parti che sono affondate, portando giù tutti i corpi”.

Le operazioni di soccorso. La Guardia costiera italiana ha risposto all’sos dell’8 febbraio inviando un velivolo da ricerca e quattro motovedette, due delle quali subito e le altre in seguito, a causa di un problema al motore di una delle prime. Il direttore delle operazioni di ricerca della Guardia costiera ha parlato in modo franco delle limitate risorse a disposizione:  “Può immaginare cosa significa coprire quella distanza con un mezzo di 18 metri con onde alte otto o nove metri? Abbiamo avuto paura per la vita dei nostri equipaggi. Quando alla fine dell’inverno le partenze aumenteranno, non saremo in grado di prenderli tutti a bordo, se rimarremo gli unici a uscire in mare”.

Il bisogno urgente di agire. Gli abitanti e le autorità di Lampedusa si stanno riprendendo dall’ultima di una lunga serie di tragedie del mare che hanno coinvolto la loro isola. La sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha dichiarato ad Amnesty International:  “Quando arrivano i morti, ci si sente sconfitti. Ci si chiede come mai non cambi niente. L’Europa è completamente assente, non c’è bisogno di essere esperti di questioni politiche per rendersene conto”.
E dopo aver raccolto le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona una delle tragedie del mare più drammatiche degli ultimi anni, Amnesty International "sollecita gli stati dell’Unione europea a prevedere operazioni collettive e coordinate di ricerca e soccorso lungo le rotte usate dai migranti, che siano quanto meno dello stesso livello di Mare nostrum. Nel frattempo, fino a quando ciò non accadrà - conclude l'organizzazione per i diritti umani - chiediamo all’Italia di fornire risorse aggiuntive di emergenza".

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