Lampedusa, il pescatore che salvò i migranti: “Lo rifarei altre cento volte”
PALERMO – “Rifarei altre 100 volte quello che ho fatto la mattina del 3 ottobre scorso”. Con queste parole, strozzate dall’emozione, Domenico Colapinto, il pescatore di 57 anni, ricorda quella tragica giornata, fatta di numeri e di soccorsi a chi era in acqua e stava per morire affogato. Due mesi fa Domenico Colapinto è stato tra i primi a soccorrere i migranti del naufragio di Lampedusa. Ora, il pescatore è in cura con degli specialisti per rimuovere il tormento del pensiero di quella tragedia. Oggi, in occasione della presentazione all’Asp di Palermo del presidio sanitario permanente che nascerà a Lampedusa è stato invitato a ricordare la tragedia.
“Da quel momento la mia vita è cambiata perché porto con me sempre le immagini di quel giorno – racconta -. Non mi era mai successo prima in quarant’anni di vita in mare. Mi trovavo insieme a mio fratello e mio nipote con il mio peschereccio ‘Angela C’ a caricare il pesce quando ci siamo accorti che c’erano diverse persone in acqua che chiedevano aiuto – racconta -. Allora abbiamo iniziato subito a chiamare i soccorsi e intanto abbiamo iniziato a salvare le persone che ci sfuggivano di mano perché erano troppo impregnate di nafta. Siamo riusciti a recuperare 20 persone di questi, purtroppo alcuni erano già morti”.
“Con il binocolo quello che abbiamo visto era indescrivibile: erano tutti vivi in mare e a galleggiare, all’inizio, erano soltanto due corpi morti aggrappati ad altri. Abbiamo cercato di caricare le persone con il salvagente e con le cime ma erano tutti stremati e distanti tra di loro. Erano pieni di nafta ed è stato faticosissimo. E’ stata una fortuna quella di trovarci lì. Purtroppo mentre aiutavamo alcuni ne vedevamo altri che invece affondavano. Avrei voluto avere in quel momento cinquanta braccia per salvarli tutti”.
“Da allora, non sono voluto andare più in mare e, anche se mio fratello mi chiama per andare a pescare, al solo pensiero mi vengono le palpitazioni – continua -. Per il momento mi stanno aiutando a riprendere lentamente la mia vita. Tuttora mi sveglio di notte sia per il braccio che mi fa male perché lo sforzo fisico è stato molto forte e sia per il ricordo di quanto è successo. La cosa bella però è che mi sono messo in contatto telefonico con una delle donne che ho salvato insieme al cugino e so che stanno bene. Il futuro adesso riparte dalle persone salvate”. (set)