Lampedusa, superstiti ancora nel Cpa. Unhcr: ''Trasferimento immediato''
ROMA - A quasi un mese dalla strage di Lampedusa, in cui hanno perso la vita 366 migranti, i superstiti del naufragio del 3 ottobre scorso, sono ancora al centro di prima accoglienza dell'isola e vivono in condizioni di accoglienza fatiscenti, dato il sovraffollamento della struttura.. A chiederne il “trasferimento immediato” è l'Alto commissariato Onu per i rifugiati. “Al Cpa di Lampedusa ci sono circa 700 persone, 110 sono i migranti scampati al naufragio del 3 ottobre scorso - sottolinea Barbara Molinario, funzionario dell'Unhcr – e vista la particolarità della loro condizione vanno subito portati in un'altra struttura. Necessitano infatti anche di un'assistenza psicologica, visto i gravi traumi subiti, e non possono averla in un centro così sovraffollato. All'inizio si sapeva che un certo numero di persone dovevano restare per il riconoscimento delle salme, ma ora che questa attività è terminata non c'è motivo che restino ancora lì”.
Anche la comunità eritrea in Italia si dice indignata per la gestione della situazione. “Abbiamo chiesto alla ministra Kyenge di intervenire. Il centro si sta continuando a riempire di persone e il disagio aumento – afferma don Mussie Zerai -. La ministra ci ha rassicurato ma la questione va risolta al più presto”. Secondo Zerai la permanenza prolungata dei superstiti è dovuta a una lentezza delle procedure burocratiche: la prefettura ha ancora bisogno di sentire alcuni testimoni, e per questo non si procede al trasferimento. “È inaccettabile -aggiunge – si tratta di persone che devono avere un'assistenza particolare, non possono restare ancora lì”. Intanto il presidente di Habescia torna a lanciare un allarme per la presenza nel centro di informatori del regime eritreo. “Le persone che sono lì ci hanno parlato di almeno due o tre spie che si aggirano indisturbate fingendosi mediatori culturali -continua Zerai –. Abbiamo chiesto alle istituzioni di rendere noto al più presto la lista dei mediatori che si trovano nel centro, perché temiamo ripercussioni sulle famiglie dei superstiti rimaste in Eritrea”. (ec)