Lavorare per i ragazzi nella favela brasiliana dove regna il narcotraffico
RIO DE JANEIRO – “Si spara molto, anche nelle zone di Rocinha considerate tranquille. Si sa già che ci saranno scontri tutto l’anno, non ci resta altro che gettare il cuore oltre l’ostacolo”. Barbara Pascali, 39enne di origini milanesi, nel 2006 ha deciso di trasferirsi in Brasile, nello stato di Bahia. Lì co-dirige con la reggiana Barbara Olivi la onlus "Il sorriso dei miei bimbi", di cui è anche responsabile comunicazione e web. A Bahia, l’associazione italo-brasiliana gestisce un progetto di professionalizzazione giovanile, mentre a Rocinha porta avanti numerose iniziative, dedicate a tutte le fasce d’età, puntando molto sull’alfabetizzazione.
Rocinha è la più grande favela del Sudamerica, tra le più grandi al mondo: secondo le ultime stime, vi abitano 250 mila persone. “Ma secondo noi sono molte di più”, commenta Barbara. Alle spalle della spiaggia di Ipanema, si sviluppa sulle pendici della montagna Dos Irmãos (Due fratelli), quella collina a due punte sullo sfondo di tutte le cartoline di Rio. Non esistono fogne e mancano quasi del tutto acqua corrente, illuminazione pubblica, educazione e sanità. Le precarie condizione igieniche favoriscono il diffondersi di malattie come tifo, colera, febbre gialla, epatiti e dengue. L’eternit è un materiale molto diffuso. Feudo dei narcotrafficanti, è stata "pacificata" dalla polizia nel 2011, dopo 40 anni di potere parallelo della criminalità organizzata. Oggi il narcotraffico sta rialzando la testa, e si registrano diversi casi di abuso di potere da parte della polizia, violazione dei diritti umani e dei diritti di cittadinanza. “La polizia è corrotta, tortura e uccide le persone innocenti. La corruzione è dilagante, non c’è stato di diritto né certezza della pena. L’attuale classe dirigente è razzista, schiavista e latifondista. La mentalità è indietro. I ragazzi carioca si chiedono: "Ma i neri frequenteranno le nostre università?". A loro interessano solo il Carnevale e fare festa. Non c’è un vero desiderio di cambiare: allo Stato non interessa nulla delle favelas. Chiamano gli abitanti favelados: significa banditi, pigri. Dicono: "Un favelado morto è un bandito in meno”. Ma la realtà, racconta Barbara, è ben diversa: “Solo l’un per cento degli abitanti delle favelas è coinvolto nel narcotraffico. E non sarebbe così se venissero loro offerte delle opportunità. Non dico che si viva nella paura, ma si ha l’impressione che non ci siano tutele. La maggior parte degli abitanti non ha nemmeno la carta d’identità. Non sono nessuno, per lo Stato”.
I Mondiali di Calcio 2014 sono stati un’enorme vetrina per il Brasile, già intento a prepararsi alle Olimpiadi di Rio 2016: “Anche Rocinha ha avuto – e avrà – grande visibilità. Per noi è una rara opportunità di denuncia. Le coscienze cominciano a svegliarsi: da 12 anni lavoriamo in favela, tutti i giorni, con il coltello tra i denti. A noi interessa solo promuovere l’educazione per l’emancipazione dell’essere umano”. (Ambra Notari)