Lavoratori domestici, Emilia-Romagna al terzo posto: badanti italiane in aumento
BOLOGNA - Nel 2016 i lavoratori domestici dell’Emilia-Romagna iscritti all’Inps sono stati 77.477, di cui 70.386 donne. In regione lavora l’8,9% dei collaboratori domestici di tutta Italia. Erano 82.806 nel 2014.
La diminuzione è attribuibile, in particolare, al calo dei lavoratori domestici stranieri, passati da 71.230 a 65.488 in soli 2 anni. E anche alla crisi economica, che ha fatto sì che circa un milione di lavoratori stranieri ritornasse al proprio Paese d’origine. Durante il periodo di crisi, in Emilia-Romagna c’è stato un aumento dei lavoratori domestici italiani di circa il 3%: un dato simile a quelli nazionali, compresi tra l’1% e il 5 per cento. La regione è terza per numero di lavoratori domestici (77.477), dietro a Lazio (130.414) e Lombardia (157.465).
Dal 2007 l’Emilia-Romagna si è dotata di un Fondo regionale per la non autosufficienza, che in 10 anni ha impegnato risorse per circa 1 miliardo di euro, oltre ai 3 miliardi del Fondo sanitario regionale. È stato messo in campo un piano d’intervento basato su funzioni di ascolto e sostegno delle famiglie e delle assistenti familiari, consulenze personalizzate, iniziative di formazione, aggiornamento e tutoring, oltre a una rete di servizi finalizzati a consentire, laddove possibile, la permanenza della persona in casa propria. Ma secondo Maria Giorgini, della Filcams Emilia-Romagna – la categoria della Cgil che rappresenta i lavoratori dei settori commercio, turismo e servizi – “i fondi per la non autosufficienza non sono ancora efficaci rispetto al bisogno che c’è anche in Emilia-Romagna”. Secondo Filcams è necessario che il settore pubblico si faccia carico della gestione del lavoro di cura, a partire dalla formazione, per tutelare anche le famiglie che affidano il parente alle cure del lavoratore. “Serve un sistema che permetta agevolazioni per chi rispetta le norme, applica il contratto nazionale di lavoro e paga i contributi ai lavoratori di questi settori”, precisa Giorgini.
Oltre al lavoro nero, esistono anche delle zone ‘grigie’, come i casi dei lavoratori che, impiegati nella fascia delle 25 ore a settimana, finiscono in realtà per lavorare a tempo pieno. Per la sindacalista, il lavoro di cura rivolto a persone non autosufficienti dovrebbe innanzitutto prevedere una specializzazione chiara e anche un maggiore coinvolgimento dei centri per l’impiego e un più deciso contrasto al lavoro irregolare. “C’è la necessità di professionalizzare questo mestiere e dare maggiori tutele, anche a vantaggio delle famiglie”, spiega. Le necessità di tutela e regolarizzazione riguardano i lavoratori stranieri e italiani, in egual misura. “È uno dei pochi casi in cui la condizione di lavoratori italiani e stranieri è parificata – prosegue Giorgini – e assistiamo a un avvicinamento culturale a un mondo che spesso viene visto come esclusivo dell’Est Europa o di altri Paesi”. (Alberto De Pasquale)