Lavoro, affetti, salute: i pilastri del carcere che verrà
ROMA - E’ online da oggi sul sito del ministero della Giustizia il documento di 98 pagine che ne sintetizza più di mille la relazione finale degli Stati generali sull’esecuzione penale, lavoro di ricerca voluto dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per ridisegnare il nuovo volto del carcere. Raccoglie indicazioni, proposte e criticità individuate in 7 mesi di studio dai 200 professionisti chiamati a raccolta per scandagliare il complesso universo penitenziario.
Rispetto e autonomia: come cambia il ruolo del detenuto. Forti della consapevolezza che il carcere debba “formare buoni cittadini e non forgiare buoni detenuti”, gli esperti pongono al centro della riforma il rispetto dei diritti e della dignità delle persone ristrette. La figura che emerge vede un detenuto consapevole del proprio stato, responsabile delle sue azioni, chiamato a intervenire sulle scelte di vita quotidiana intramuraria, sottratto all’effetto infantilizzante dell’attuale condizione detentiva, presente, nella misura massima possibile, negli eventi significativi della vita familiare. In sintesi: attore di quel processo importantissimo che dovrà portarlo, alla fine della pena, a ricucire lo strappo con la società creato nel momento in cui ha commesso il reato.
Partendo “dalla piena e dolente consapevolezza che molte disposizioni normative sono rimaste senza attuazione effettiva” e rilanciando il messaggio che arriva dalle statistiche, secondo cui chi ha seguito un percorso di recupero non torna a delinquere (recidiva abbattuta nell’80 per cento dei casi), gli Stati generali propongono prima di tutto un maggiore ricorso alle misure alternative (tema trasversale a tutti i tavoli). Seguono a ruota il diritto al mantenimento dei rapporti con il mondo esterno e il conseguente rispetto della territorialità della pena: “il detenuto deve scontare la pena nel luogo più vicino alla famiglia senza che la sua condotta possa influire sull’eventuale istanza di trasferimento”. In questo campo sono proposti interventi nella gestione dei trasferimenti e degli sfollamenti “per scongiurare ogni sensazione di un loro utilizzo para-disciplinare” e perché “non interrompano percorsi concreti di reinserimento”.
Famiglia in primo piano: i bambini. Grande attenzione viene data al tema “minori”, sottolineando che “le esigenze di difesa sociale non giustificano il completo sacrificio dell’interesse del minore estraneo alla vicenda delittuosa”. In particolare, riguardo “al rapporto con i figli e alla posizione delle detenute madri” gli Stati generali denunciano “la ridottissima attuazione dell’istituto delle Case famiglia protette che avrebbe consentito di evitare in toto l’ingresso in strutture penitenziarie, seppure a custodia attenuata, quali gli Icam”. “L’attuazione della legge - secondo gli esperti - richiede uno sforzo non rinviabile, con il coinvolgimento degli enti territoriali e dei privati impegnati nel sociale”.
E i permessi. Per “promuovere il contatto con il mondo esterno e, in particolare, le relazioni familiari, sembra opportuna una modifica della disciplina del permesso per “gravi motivi” o “di necessità”: non più solo uscite per funerali o gravi esigenze familiari, quindi, ma anche per essere presenti negli eventi significativi della vita familiare.
Inoltre, per le situazioni che non rientrano negli eventi importanti, secondo gli esperti “si potrebbe pensare di attribuire al condannato una sorta di “peculio di libertà” (per esempio 20 o 30 giorni all’anno) che possa gestire secondo le sue esigenze, sapendo che questi giorni di permesso non valgono come espiazione di pena”, cioè, non sono scalati dal tempo residuo.
Rientrano in questo ambito anche le proposte sull’istituzione del “permesso di affettività” e su una maggiore apertura in fatto di colloqui e telefonate destinate ai familiari: ribadita la necessità di introdurre in tutti gli istituti il collegamento Skype.
I pilastri della detenzione: il diritto al lavoro. Riconoscendo al lavoro “una posizione centrale nella trama normativa dell’ordinamento penitenziario, quale fondamentale “elemento del trattamento” nella prospettiva del reinserimento sociale del detenuto”, gli Stati generali descrivono una “realtà scoraggiante” dovuta alla “scarsità delle risorse”. Per questo propongono il rilancio delle lavorazioni nelle carceri affidando “la promozione e lo sviluppo del lavoro negli istituti penitenziari a un apposito organismo/ente a livello centrale, dotato delle necessarie competenze in materia di marketing, organizzazione produttiva, gestione del personale”.
E quello alla salute. Riscontrate “diverse carenze” nell’applicazione della legislazione vigente, gli esperti puntano il dito sull’ “incompiuto processo di riforma della medicina penitenziaria” e propongono l’adozione di cartelle cliniche digitali e telemedicina e la conseguente maggiore attenzione al trattamento dei dati sanitari.
In evidenza anche la tutela dei soggetti con disagio psichico e l’integrità psico-fisica in relazione allo spazio della pena: “la medicina in carcere non può limitarsi alla fornitura di risposte a patologie in essere, ma deve accentuare la dimensione di prevenzione e di educazione alla salute. In questo contesto si sottolinea l’importanza di un adeguato “spazio della pena”, evidenziando il fondamentale apporto che può dare al benessere psico-fisico l’ambiente in cui si è inseriti”. (Teresa Valiani)