Le social street bolognesi si presentano alla città
BOLOGNA – Più di 190 social street in Italia, oltre 40 solo a Bologna. Tante le esperienze all’estero in via di sperimentazione, e ai vari gruppi Facebook sono iscritte più di 8 mila persone (3 mila solo nel capoluogo emiliano). A Bologna, l’ultima nata è quella di via Oberdan, che al momento conta 20 membri. Dal settembre 2013, quando nacque il gruppo su Fb ‘Residenti in via Fondazza – Bologna’, l’idea della social street non solo si è diffusa a macchia d’olio, ma ha anche fatto importanti e decisivi passi avanti. I contatti tra le varie social street bolognesi si sono rafforzati, merito anche di una serie di iniziative di socializzazione in strada o nel quartiere; si sono intensificati i rapporti con gli enti locali e, nel frattempo, il Comune ha varato il Regolamento sulla cittadinanza attiva, progetto che va a inserirsi nel solco tracciato dalle ‘strade sociali’: “La pubblica amministrazione è sempre disponibile: lavoriamo molto sul verde cittadino, e la co-gestione di alcuni spazi è un vantaggio per tutti”, spiega Saverio Cughi, uno dei primi membri della social street di via Fondazza, che ha conosciuto Federico Bastiani, il padre dell’iniziativa, proprio grazie a uno scambio tra vicini fino a quel momento sconosciuti: il prestito dell’ovetto per trasportare la piccola in arrivo.
“Ora stiamo cercando di mettere in rete le varie realtà cittadine, poi ci piacerebbe esportare questa interconnessione a livello nazionale. Mettere in rete le social street significa scambiarsi opinioni, iniziative, progetti: chi ha già attivato un’idea – per esempio, andare a fare la spesa insieme per utilizzare una sola macchina – può raccontarlo ad altri che lo metteranno in pratica a loro volta. Ci si può confrontare anche sui problemi, per trovare insieme una soluzione”. Guardando al futuro, il progetto ha ambizioni ‘da grande’: “Ci piacerebbe lavorare sul tema lavoro. Imparando a conoscere le persone, si scoprono tante competenze. Vorremmo riuscire a creare opportunità lavorative, promuovere nuove attività imprenditoriali, magari frutto delle amicizie nate grazie alle nostre iniziative”.
Provando a tracciare un primo bilancio, il panorama delle social street bolognesi si presenta come molto variegato: il numero di esercizi commerciali, per esempio, può fare la differenza. Ci sono strade sociali ricche di residenti, altre ricche di negozi, ma non per questo la filosofia alla base può cambiare. Perché una social street non è una bacheca per farsi pubblicità: “Gli esercenti che partecipano sono persone, non negozi. Poi, se vogliono contribuire alla causa con i loro mezzi, ben venga. Superato questo limite, i rapporti nati tra residenti e commercianti sono ancora più stretti”.
Secondo Saverio, il più grande problema con cui si è chiamati a confrontarsi riguarda la socialità: paradossalmente, dare e ricevere fiducia, aprirsi al prossimo, incontrare gli altri oggi è quanto mai difficile: “La socialità è un terreno che va completamente ricostruito, ma te ne rendi conto solo con il senno di poi. Perché allora, se ti guardi indietro, ti chiedi ‘ma perché non l’ho fatto prima?’. Conoscere i vicini di casa, fidarsi di loro ti fa sentire anche molto più protetto”.
Per condividere le esperienze e le lezioni sin qui imparate, per offrire spunti a chi vuole riprodurre l’iniziativa, le social street della città hanno organizzato per domani, sabato 22 marzo, dalle 10 alle 12.30, una mattinata di confronto aperta a tutti gli interessati. L’appuntamento è al Working Capital Accelerator di via Oberdan (la più giovane social street), la nuova casa dell’innovazione bolognese che accoglie aziende, start up, persone, particolarmente impegnate nel campo dell’innovazione tecnologica: “Ci hanno riconosciuto come buon esempio di innovazione sociale e ci hanno proposto di utilizzare i nostri spazi per l’incontro. Noi ne siamo stati felici: il matrimonio tra innovazione tecnologica e innovazione sociale potrebbe regalare successi insperati”. (ambra notari)