Leogrande: "Così ho ricostruito storie e volti di un naufragio di migranti"
Alessandro Leogrande (a destra) e Marco Filoni
Cosa vuol dire raccontare un naufragio? “Significa raccontare chi c’era su quella nave – ha spiegato l’autore - al di là dell’elenco dei nomi, chiedersi che vita avevano queste persone, restituire dignità umana, dare degna sepoltura ai corpi ricostruendo storie e volti”. Ci sono due livelli di racconto: quello collettivo e quello di ciascuna vita: “Ho costruito la dimensione corale del racconto, perché il naufragio è un evento collettivo solo statisticamente, ma ho ricercato anche le storie personali girando per le città e i villaggi dell’Albania, incontrando i superstiti e i familiari delle vittime”. Nella storia della Kater i Rades si intrecciano il contesto storico albanese e quello italiano: “La gente partiva dall’Albania non solo per fame, ma anche per scappare dalla violenza della guerra civile. Contemporaneamente in Italia si era scatenanata l’ossessione dell’invasione. C’era il governo Prodi che varò misure di controllo e pattugliamento delle acque tra Italia e Albania, in altre parole le politiche di respingimento, applicate dalla marina militare”. Per la sua inchiesta Leogrande ha incontrato anche i militari, gli avvocati. “Le carte del processo – ha spiegato - sono importantissime ma lì ci sono enormi zone d’ombre”. La storia della Kater i Rades è anche una vicenda di mare e io ho cercato di far sentire l’odore del mare".
Leogrande conosce bene l’Albania, perché ha lavorato nei campi della Caritas. Per Leogrande, bisogna sempre partire dalla propria realtà, da ciò che si conosce: “Tutti i grandi reporter hanno raccontato il loro mondo, si parte da ciò che ci circonda, dal raffronto con la propria città, il proprio quartiere. Ma è vero anche che i grandi reporter sono anche quelli che vanno in un posto per una settimana e riescono a capire le cose”. Un'altra indicazione: evitare la forma accademica. “Se in questi giorni vai a Taranto, sarebbe meglio non iniziare un reportage parlando del diritto alla salute e del diritto al lavoro, ma piuttosto raccontare la storia di un operaio, creando cioè un’unità narrativa intorno a un’unità biografica”.