20 giugno 2014 ore: 14:25
Immigrazione

Letti, cibo e preghiere: 500 migranti al mese nel "tendone" dell'Ostiense

E' nata due anni e mezzo fa, dallo sgombero dei binari della stazione Ostiense di Roma, la tensostruttura pensata per accogliere gli afgani in transito: accoglie una media di 500 persone al mese. Per una notte o per oltre un anno in attesa dei documenti
Roma - Tensostruttura Tormarancia Afghani
La tensostruttura per accogliere gli afgani in transito
tensostruttura afghani 3

Roma - Arrivano a gruppi, attraversando il cortile silenzioso e salutando calorosamente gli operatori quando spuntano alla luce del tendone. Sono le sette di sera, l'umidità sta per vincere il tepore della giornata, ma lo spiazzo si anima improvvisamente, fra chi arriva per la prima volta più silenzioso, chi racconta come è andata la giornata, e chi si ripresenta dopo qualche mese, con un largo sorriso e un documento valido fra le mani.

È la tensostruttura per accogliere i transitanti afghani, nel quartiere di Tor Marancia a Roma, nata dallo sgombero dei binari della stazione Ostiense per fare posto alla stazione di Italo, e realizzata in fretta e furia (“Praticamente in un giorno”, racconta Francesca Biccari, responsabile della struttura) con l'emergenza neve. “Il 18 febbraio 2012 – ricorda con precisione Biccari – ma non fu uno sgombero traumatico: durò una settimana, arrivarono prima le persone coi documenti, gli altri non si fidavano, poi pian piano capirono che era un rifugio e si trasferirono coi propri bagagli. Ora se lo dicono con passaparola, nei punti di incontro per la città”.

La struttura è gestita dalla cooperativa Osa Mayor, che si occupa di prima e seconda accoglienza per migranti, in accordo con il Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma. Doveva essere una soluzione transitoria, in vista del trasferimento in uno stabile più adeguato nel quartiere di Tor Carbone. Questo palazzo ora è stato occupato, così ipotesi di uscita dalla condizione di precarietà si è allontanata ancora una volta. “Ma nonostante tutto il tendone ha retto anche i temporali di questo periodo – commenta l'operatrice -, dentro è asciutto. E' tutto il giorno in giro, invece, che non sanno dove ripararsi”.

Tensostruttura Tormarancia Afghani

Si forma la coda al prefabbricato per la registrazione e il ritiro del bagnoschiuma, mentre arrivano anche le avvocatesse di Buonconsiglio e i medici di Medu (Medici per i diritti umani). “Dall'apertura al 3 giugno sono passate di qui quasi 7.600 persone, alcune ritornano più volte – spiega la responsabile -, una media di 500 al mese, per una capienza di 150 posti. D'inverno c'è un leggero calo, ma d'estate riprendono i transiti”.

Dentro al tendone ci sono i letti a castello, a pochi centimetri l'uno dall'altro. Agli angoli dei montanti gli ospiti hanno appeso le lenzuola usa e getta, creando un suggestivo effetto-tenda per maggiore privacy. All'ingresso i tavoli per cenare e fare colazione, in un angolo separato da tende e ricoperto da tappeti lo spazio per pregare. “L'altro giorno un ospite si lamentava del fatto che chi prega alle 5 sveglia gli altri, le questioni religiose sono le uniche che creano qualche disputa all'interno, ma per il resto il clima è sempre stato sereno, mai avuto problemi”, racconta Biccari, mentre arrivano alla chetichella ragazzi a salutarla, parlare dello stato della richiesta di asilo, lamentarsi perché la notte c'è un freddo umido. 

Tensostruttura Tormarancia afghani 2

È una struttura nata per gli afghani, che sono circa l'80 per cento, ma c'è anche qualche pachistano e in questi due anni sono passati 33 iracheni, 55 iraniani e 16 turchi. “Dovrebbero restare qui fino a quindici giorni - continua -, perché sono in transito verso altri paesi europei dove quasi sempre hanno parenti, in Germania o in Norvegia. Oppure hanno già i documenti e sono in attesa di essere trasferiti alla Casa della Pace, per cui ci sono tempi più lunghi. Per una sistemazione più definitiva le liste di attesa sono di mesi. La vera tragedia sono i 'Dublino', che aspettano mesi in un limbo, e la cui unica alternativa è stare in mezzo alla strada”. Sono coloro che, registrati in ingresso in Italia, secondo gli accordi di Dublino sono costretti a chiedere il permesso da noi, anche se intendono proseguire verso nord. “Se riescono ad arrivare in un altro paese, ma vengono scoperti, sono rispediti in Italia. Poi le due nazioni hanno 18 mesi per rimpallarsi il caso, prima di decidere. Un anno e mezzo in cui non hanno permesso di lavorare né di muoversi, in attesa della decisione sul loro futuro”.  La normativa è cambiata a gennaio, riducendo moltissimo i tempi, da un anno e mezzo a tre mesi, ma ci sono ancora strascichi dal regolamento precedente.

tensostruttura afghani 4

Jounes, una coperta sulle spalle e sandali ai piedi, è qui da aprile del 2013, la sua vicenda sembra la sintesi dei deliri burocratici dei richiedenti asilo. Da quando è partito dall'Afghanistan è diventato adulto. “È arrivato muscoloso, e adesso e magro magro a furia di camminare per tutta Roma, una volta l'ho incontrato a Infernetto, che volantinava”. L'udienza rimandata a dicembre, poi di nuovo a maggio, infine il ricorso vinto lo scorso 12 giugno, e finalmente sta facendo i documenti per ottenere lo status di rifugiato.  Quando arrivano in Italia gli afghani fanno richiesta di protezione internazionale, e viene dato loro un cedolino valido fino alla riunione della commissione competente. Questa può poi dare loro la protezione umanitaria, che dura un anno; quella sussidiaria, che riconosce la provenienza da paesi in guerra, e dura tre anni; il vero e proprio asilo politico, se si è personalmente minacciati, e dura 5 anni; o rigettare l'istanza. Mentre viene distribuito il pasto (con carne o vegetariano, per chi non vuole cibo che non sia halal), c'è un turbinoso giro di telefonate fra operatrici e avvocati, perché giunge notizia che un ragazzo è stato imbarcato per il rimpatrio.

Roma - tensostruttura afghani 5

Tra l'odore di bagnoschiuma e quello di cibo, alcuni si avvicinano ai camper dei medici, per una visita. “A parte dei casi di scabbia qualche tempo fa, per cui siamo stati costretti a ricorrere alle lenzuola usa e getta, la maggior parte dei problemi di salute sono di tipo ortopedico – spiega la responsabile -: dolori alla schiena, ossa rotte, spesso dovute alle condizioni proibitive del viaggio, perché sono stati picchiati, o perché si sono buttati giù dai camion in corsa dopo il confine”. A volte il viaggio dura anni, attraversando a piedi il continente, o rimanendo bloccati mesi o anni a Patrasso. “Lì le condizioni sono inenarrabili, dei nostri operatori hanno fatto uno scambio, e non avevano parole per descrivere l'orrore: 6-700 persone nascoste nello scheletro di un palazzo, cui le associazioni non si possono nemmeno avvicinare perché quelli di Alba Dorata li pestano a sangue. Escono di notte, terrorizzati, cercano cibo nella spazzatura, si curano ferite in cancrena con l'acqua di mare. Quando arrivano qui dalla Grecia o dalla Turchia questo tendone precario sembra loro una reggia”. Diverso il caso di chi ha già vissuto al nord, e per varie peripezie si ritrova qui. Un ragazzo arriva, saluta mestamente. Aveva trovato un lavoro e una casa, poi con la crisi ha perso entrambi. “Non va bene qui in Italia – commentano alcuni ospiti in capannello bevendo un tè caldo – tanti dormono per strada, negli altri paesi non è così, ma com'è il nuovo presidente?”.

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D'inverno, fra il buio, il freddo e la stanchezza, vanno tutti a letto presto. Alle nove del mattino devono uscire, e stare in giro tutto il giorno, fra Piramide, Colle Oppio, qualche lavoretto, la ricerca di un'occasione. “D'estate è diverso, giocano a pallone fino a mezzanotte, ci sediamo qui fuori e si chiacchiera fino a tardi”, racconta Biccari. I racconti si mescolano con gli attimi di spensieratezza del gioco. “Nei primi tempi i cittadini della zona erano preoccupati, venne anche la polizia a vedere come andava, ma rimasero stupiti della serenità generale. I ragazzi tengono a questo rifugio e fanno in modo da non creare problemi di sorta. Gli operatori greci ci chiesero perché non avessimo le forze dell'ordine qui fisse a presidiare. Ma qui vigono i rapporti umani”. (elena filicori)

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