Libertà di culto: dal cibo alla preghiera, le discriminazioni nella vita quotidiana
Roma – La prima questione che si incontra nella vita quotidiana è il cibo: ogni religione ha prescrizioni e divieti a riguardo, c'è chi non mangia carne, chi non mangia maiale, chi non può associare alcuni alimenti, chi può nutrirsi solo di cibo trattato con una certa ritualità. Il che, in una mensa scolastica o aziendale, rende più complicate le cose. Ci sono poi periodi particolari, come il Ramadan, in cui i ritmi quotidiano vengono stravolti, ed è difficile coniugarli coi tempi e i modi di lavoro regolari.
C'è la pausa della preghiera da contrattare col datore di lavoro, e magari degli spazi dedicati, e perfino l'annosa questione di come portare il casco del motorino sul turbante dei sikh che in pianura padana curano gli allevamenti di bovini.
L'ora di religione a scuola è dedicata a quella cattolica, “ma persino i testi scolastici sono a volte scorretti - spiega Svamini Hamsananda Giri, vicepresidente Unione induista italiana, in occasione dell'incontro interreligioso "Teofonie", fra comunità musulmane e indù, che si è svolto ieri a Roma – dando letture di parte della storia. Ci sono persino giorni di festività religiose ufficiali, in Gazzetta, che alcuni datori di lavoro ignorano al di là della legge”.
Se poi si va ai momenti cruciali della vita, i problemi si moltiplicano: spazi adeguati di preghiera e ministri di culto negli ospedali e nelle carceri, la possibilità di celebrare un funerale e di seppellire i propri cari in uno spazio separato di un cimitero, ma pure il riconoscimento dei matrimoni religiosi.
“I punti più delicati sono i luoghi di culto – spiega l'imam Yahya Pallavicini, vicepresidente del Coreis (Comunità religiosa islamica) -, e quindi per noi musulmani le moschee, e la formazione dei predicatori, quindi tutta l'assistenza sociale e morale che devono fare”.
Nella Milano dell'Expo 2015 non esiste oggi una moschea ufficiale, e la recente legislazione lombarda in merito sembra lasciare ben poche speranze, con criteri che rendono sempre più complicato e sottoposto a molte autorizzazioni la realizzazione di un edificio di qualunque religione. Eppure c'è chi ricorda che quando l'attuale presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, era ministro dell'Interno auspicava la realizzazione di luoghi ufficiali, sul principio che “una moschea la controlli, cento garage no”.
Riccardo Pacifici, rappresentante della comunità ebraica romana, suggerisce alcune soluzioni pratiche adottate da un gruppo religioso che si confronta da millenni con il cattolicesimo italiano, come un sistema di controllo interno sulle attività e la formazione: “L'Italia è fondamentalmente un paese cattolico. Con i Patti lateranensi si diede voce solo alla Chiesa, con la Costituzione repubblicana l'atteggiamento divenne più laico verso ogni religione, ora si sfruttano sentimenti negativi per il consenso, ma rimane un'isola felice nell'attuale panorama europeo”. Restano anche per la religione ebraica, dopo tanto tempo, alcuni problemi amministrativi e burocratici, legati ad esempio alla macellazione rituale. Come per le celebrazioni del Ramadan, i tempi e i modi per i visti da paesi extraeuropei rischiano di arrivare dopo le festività".
“Gli enti locali mostrano spesso una minore preparazione all'incontro con queste realtà religiose, con grande difficoltà nel dover poi affrontare praticamente queste problematiche, ma il problema è a monte”. La questione di fondo da affrontare è quella dell'intesa con lo Stato italiano: “La chiesa cattolica, quella protestante, l'unione degli ebrei, l'unione induista e quella buddista l'hanno ottenuta, noi, che rappresentiamo una delle più grandi comunità religiose per numeri, non abbiamo ancora ottenuto questo riconoscimento”.
Si stima che in Italia vi siano quasi 1,4 milioni di musulmani, seppur non tutti praticanti. Circa 800 mila sono i ragazzi di altre religioni nelle scuole. “L'Islam, nella sua eterogeneità, ha una complessità interna che va chiarita, ma anche una necessità di chiarirsi nei confronti dell'istituzione su chi e quanti facciano l'intesa”, continua l'imam. Il dibattito è aperto, già ai tempi del governo Amato si era cercato un tavolo di rappresentanze qualificate, ma non tutti sono ancora pronti, non tutti sono flessibili e disponibili. “Come Coreis vorremmo tenere fuori quelle correnti con un atteggiamento ambiguo, che simpatizzano con un Islam non italiano, un Islam politico o straniero, perché vanno a creare problemi interni ed esterni. Da un lato è ovvio condannare i criminali, anche se si inventano di uccidere in nome di Dio restano criminali. L'altro rapporto più delicato è con istanze più ideologiche: anche l'Islam radicale condanna i criminali, ma poi adotta una misura un po' ambigua, un'interpretazione sindacalista. Per noi invece l'Islam deve essere rispettato come portatore di valori di pace, la politica deve essere lontana. Ci sono altri ambiti in cui rivendicare il diritto per i palestinesi, voglio un Islam italiano, non si può mescolare tutto, se no confondiamo gli immigrati, i clandestini, i criminali, i tossicodipendenti e il Medio Oriente”. (elena filicori)