Libia, "l'amnesia dell'Italia: per decenni abbiamo fornito armi"
Roma - “Resto sempre perplesso dall'amnesia con cui l'Italia affronta la situazione in Libia: per decenni abbiamo fornito armi e gettato benzina sul fuoco”. Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo, inchioda con alcuni dati l'Italia alle proprie responsabilità nel proliferare di combattimenti in Libia.
“Lo scorso settembre Ugo Gussalli Beretta lamentava che fosse un momento difficile, e che le commesse con la Libia fossero bloccate, ma la situazione che ora affrontiamo esisteva già, e se ne facevaa una questione economica”, commenta Francesco Vignarca, coordinatore delle attività nazionali della Rete Italiana per il Disarmo.
I dati forniti da Archivio Disarmo su spese militari e armamenti sono scarsi, a causa proprio del caos nello stato africano. Ciò che si sa (Sipri 2015) è che la spesa militare è aumentata, passando dai 1.338 miliardi di dollari del 2008 ai quasi 3 mila del 2012.
Fra il 2008 e il 2013 l'Italia è stato il secondo maggiore esportatore di armi in Libia (33 milioni di dollari), dopo la Russia (74) e prima di Francia, Giordania e Austria. Solo nel 2013 abbiamo esportato armi nel mondo per oltre 2,7 miliardi, soprattutto nelle arre di maggiore tensione del mondo, 709 milioni solo fra Medio Oriente e nord Africa.
“Fornivamo armi già negli anni '70 e '80, uno dei nostri primi report era proprio su questo argomento – spiega Simoncelli -, poi la vendita è stata interrotta per intervento degli Usa, e abbiamo scoperto, per ultimi, che Gheddafi finanziava il terrorismo. Poi abbiamo ripreso fino al 2011, quando siamo intervenuti attivamente nella guerra, con 736 interventi militari, come racconta l'Espresso”.
Fra le forniture più recenti risultano elicotteri e motovedette, a seguito del trattato di Bengasi del 2008, per il controllo dei migranti dalle coste con la collaborazione della Guardia di Finanza, ma i rapporti fra Finmeccanica, Augusta Westlands e Liatec ha prodotto dal 2005 grandi commesse e joint venture fra il nostro paese e il dirimpettaio nel Mediterraneo. Per l'Italia rappresenta un mercato relativamente minore, costituendo circa il 2% delle esportazioni totali e l'undicesiomo importatore di armi italiane.
Contestualmente, però, gli interessi economici fra i due stati si sono intrecciati sempre più: nel 2000 la Lafico acquistò il 2,6% delle azioni Fiat, il 3% di Capitalia, fino ad arrivare nel 2010 a diventare il primo azionista di Unicredit con il 7,58%.
“Per risolvere la situazione dobbiamo uscire dalle grandi logiche di interesse economico fra petrolio, Eni e forniture di armi – conclude Simoncelli – altrimenti restiamo nell'ambiguità, in cui la soluzione di conflitti internazionali è sottoposta agli interessi di parte. L'Italia sta continuando una campagna di armamenti offensivi, dalle portaerei agli F35, che non fanno altro che allarmare tutti gli altri paesi, visto che abbiamo anche decine di testate nucleari fra Ghedi e Aviano”.