Libia, la reporter: noi nel mirino, l'Italia stracci il memorandum
ROMA - "In Libia la speranza c'è ed è forte: continuiamo a impegnarci per i diritti, la democrazia, il futuro dei giovani e l'emancipazione delle donne. Ma servono elezioni legittime e la fine di accordi come quello italiano per finanziare la Guardia costiera libica, o nel Paese non vedremo mai democrazia e diritti umani". A parlare con l'agenzia Dire è una esponente libica della Libya Platform, coalizione di attivisti impegnati nel monitorare e raccogliere informazioni sulla condizione dei diritti umani nel Paese africano. L'intervista avviene a Matera, a margine di un evento sulla Libia nell'ambito di 'Sabir - Festival diffuso delle culture mediterranee', promosso da Arci e tante altre organizzazioni la cui ottava edizione si è chiusa sabato scorso.
La giornalista in Libia lavora anche come difensora dei diritti umani e della libertà di stampa, e chiede che il suo nome non venga rivelato perché, denuncia, "nel mio paese giornalisti e attivisti sono sempre più nel mirino degli attacchi" sia dei gruppi armati che delle forze di sicurezza, tra cui non ci sarebbe "grande differenza". Minacce e aggressioni "continue" diventano allora "il principale ostacolo alla libertà di espressione, soprattutto alle reporter donne. Questo- denuncia l'attivista- rende molto difficile fare questo mestiere".
La cronista si occupa anche delle condizione di vita dei migranti sia all'interno che fuori dai centri di detenzione libici. Raccogliere notizie e denunce su questo tema "espone i cronisti a rischi di violenze", dal momento che i centri "nella maggior parte dei casi sono controllati direttamente o indirettamente dalle milizie armate, che quindi impediscono l'accesso ai centri, arrivando a minacciare, o peggio, picchiare i reporter", pur di tenerli lontani.
In questo quadro, il Memorandum d'intesa che l'allora governo Gentiloni firmò con Tripoli nel 2017, che prevede tra le altre cose il finanziamento alla Guardia costiera libica, e che è entrato nel suo quinto anno, "è una macchia nera nella storia dei nostri due Paesi. Tutto ciò che il Memorandum ha prodotto- continua l'esponente della Libya Platform- sono altre violazioni terribili dei diritti umani su migliaia di persone: abbiamo documentato attacchi e spari contro i migranti in mare da parte della Guardia costiera libica". A rischiare torture e persino la vita, "anche donne e bambini" denuncia la cronista, che aggiunge: "Davvero non capisco come sia possibile per qualcuno affermare che quell'accordo abbia avuto un impatto positivo sui migranti, come se queste violazioni non esistessero".
Infine, un cenno alle elezioni, rinviate a giugno prossimo. Il fatto che non si siano tenute il 24 dicembre scorso nonostante gli sforzi profusi dalla comunità internazionale, ha inasprito l'incertezza e le tensioni, come dimostrano gli scontri a fuoco che si sono registrati a Tripoli la notte scorsa tra fazioni rivali, dopo che il premier di Tobruk Fathi Bashagha è entrato a Tripoli con l'intenzione di prendere l'incarico di primo ministro al posto del premier Abdul Hamid Ddedeiba, di cui il parlamento dell'est contesta la legittimità.
"Il voto di giugno è fondamentale" assicura la giornalista, "perché se in Libia vogliamo realizzare qualcosa di positivo, ci serve l'unità del territorio e delle sue istituzioni".
Come ricorda anche la cronaca delle ultime ore, "dallo scoppio della guerra, il Paese è governato da diverse amministrazioni che non solo si dividono il territorio ma si incolpano a vicenda di ciò che non funziona". Il voto però, per produrre risultati efficaci, "dovrà essere legittimo, altrimenti finirà col creare nuova instabilità". Per la giornalista quindi "serve una forte base costituzionale ed è per questo che nell'ultimo anno abbiamo lavorato a una campagna per favorire la partecipazione della società civile in un clima di rispetto e trasparenza". (DIRE)