Lo sgombero entra a "gamba tesa" sui sogni di un baby calciatore rom
ROMA - M. ha solo undici anni e, come molti bambini della sua età, adora giocare a calcio. Lo fa “anarchicamente” - dice il suo allenatore - e con una tecnica tutta sua, che include giocate di classe, colpi di tacco e la lotta dura su ogni pallone. Ma per lui, baby calciatore di origine rom, il sogno di una carriera nel pallone potrebbe finire nel giro di pochi giorni. La sua famiglia risiede infatti in una delle case di lamiera, in lungo Stura Lazio a Torino, all’interno del campo rom sotto sgombero da una settimana. E, senza un posto dove stare qui in Italia, l’ipotesi più probabile è il ritorno in Romania, lontano dai compagni di squadra, che ad oggi sono la sua unica fonte di relazione con il mondo esterno.
- A denunciare pubblicamente l’ingiustizia di questo “nomadismo coatto” è l’allenatore della New Team (la squadra di M.) Timothy Donato, che nel 2011 ha dato vita all’associazione Nessuno è fuori gioco onlus, con l’obiettivo dell’inclusione attraverso il gioco del calcio. “Il nostro è un progetto educativo rivolto inizialmente ai bambini rom romeni che vivono nei campi non autorizzati a Torino – spiega Donato – l’obiettivo è coinvolgerli in attività continuative nel tempo,creando una squadra di calcio, un’ attività bella che li faccia uscire dal campo rom e li costringa a lavorare in gruppo. L’idea è permettere a questi ragazzi di entrare in un mondo normale. Parallelamente abbiamo lavorato insieme alle famiglie con un’assistente sociale che faceva da supporto alla genitorialità – aggiunge -. Ma oggi,dopo lo sgombero, per alcuni ragazzi tutto questo potrebbe andare in fumo. Il progetto non sparisce, ma alcuni di loro non potranno esserci più. M. probabilmente dovrà tornare in Romania. Siamo tutti d’accordo che i campi vanno superati, ma non così, mettendo le persone in mezzo a una strada”.
Alcune famiglie rom sgombrate finiranno infatti all’interno del progetto “La città possibile”, pensato proprio per superare l’idea del campo rom attraverso l’assegnazione di case. Ma la famiglia di M. non è fra i beneficiari: “siamo davanti a un ragazzo di 11 anni che non sa ancora cosa l’aspetta e che, con ogni probabilità dovrà lasciare la cosa che adora fare di più”. “Questa situazione di instabilità, di nomadismo coatto condiziona le sue scelte – aggiunge l’allenatore – così come il suo percorso scolastico e l’idea di progettare il futuro. Per noi il dispiacere è enorme, M. stava facendo un grande percorso, se non ci fosse stato questo sgombero lo avremmo portato avanti”. Secondo il presidente di "Nessuno è fuori gioco", lo sgombero per il ragazzo “non rappresenta solo l'interruzione di un percorso di inclusione e di normalità. La squadra di calcio, e tutto ciò che le sta intorno, avrebbe potuto avvicinare M. alla scuola, visto che ad oggi non c’è mai andato. Ma ora dovrà andarsene via e in fretta, non importa dove. Questa non è inclusione”.
L’associazione "Nessuno è fuori gioco" è nata quattro anni fa e ad oggi include una squadra di pulcini composta soprattutto da bambini di origine rom; una squadra under20 composta al 50 per cento da italiani e al 50 per cento da rom e una squadra femminile dove le ragazze rom sono la componente minoritaria. “All’inizio avevamo solo rom tra gli iscritti – spiega Donato – poi con il tempo le cose sono cambiate. Ogni settimana incontravamo una squadra avversaria e questo è stato un modo per sensibilizzare gli altri e ha contribuito a farci conoscere, per questo oggi ci sono anche molti italiani che si iscrivono alla nostra associazione. La cosa bella è l’idea di normalità che si trasmette e il senso di appartenenza. Per questi bambini avere dei tifosi, delle persone che credono in loro è importantissimo. Oggi, dopo un lungo percorso, riusciamo a giocare davvero come una squadra, mettendo da parte l’io per il noi. Che tutto ciò debba finire anche solo per uno dei nostri ragazzi è veramente assurdo” (ec)