Lotta alla tratta, On the Road: “Fortezza Europa renderà sempre più difficile individuare le vittime”
“Le politiche sul contrasto della tratta di esseri umani e l’assistenza alle vittime in Italia hanno una storia peculiare che li differenzia da quelli di molti altri paesi e della stessa Ue. Per molte legislazioni e correlati sistemi di intervento, la pietra miliare è il Protocollo di Palermo del 2000, nato in seno alle politiche di contrasto della criminalità organizzata transnazionale. La repressione dei criminali è il punto di partenza, i diritti delle vittime all’assistenza sono importanti, ma non sono il focus principale”. In occasione della Giornata europea contro la tratta, Fabio Sorgoni, responsabile dell'Area Tratta e Sfruttamento di On The Road, interviene facendo un punto della situazione sulle politiche di intervento italiane, sottolineandone l’approccio più “umanitario” che “punitivo” ed evidenziando come il fenomeno della tratta sia sempre più correlato alle migrazioni e a quella “fortezza Europa” che rende sempre più difficile individuare le vittime di tratta.
“In Italia il sistema antitratta nasce, invece, all’interno della legislazione sull’immigrazione (il Dlgs 296/98, il Testo Unico sull’Immigrazione, l’allora Turco-Napolitano), con l’art. 18, che si concentrava sulle misure di protezione delle vittime, dalla concessione di un permesso di soggiorno alla creazione di programmi di protezione messi in campo nei territori dal pubblico (Regioni, Comuni) e dal terzo settore antitratta accreditato. Allora il target a cui ci si rivolgeva era quasi esclusivamente quello prostitutivo, ovvero le migliaia di donne che venivano messe sui nostri marciapiedi da gruppi criminali principalmente nigeriani e albanesi. Le politiche di intervento dell’esperienza italiana sono state, e sono ancora, un punto di riferimento a livello europeo e non solo, tant’è che questo sistema, nato da una legge del 1998, governa ancora oggi le politiche antitratta. Ad esempio, On the Road coordina dal 2000 progetti territoriali nelle Marche, in Abruzzo e in Molise, e li realizza, insieme all’Associazione Free Woman di Ancona, e le suore Oblate di San Benedetto del Tronto nelle Marche, e la Fondazione Caritas di Pescara - Penne in Abruzzo”.
Per Sorgoni, “all’epoca fu fondamentale l’apporto di una parte del terzo settore italiano, già impegnata in politiche di riduzione del danno e accoglienza, fortemente connessa a livello nazionale (in particolare molti enti facevano, e fanno, parte del Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti), ma anche in rete con le migliori esperienze europee nel campo. Allora come oggi questi progetti sono gli unici che si occupano delle persone che sono costrette a prostituirsi, ma nel tempo abbiamo dovuto allargare il campo di azione ad altre forme di grave sfruttamento”.
“Il nostro sistema antitratta è quindi principalmente orientato alla protezione della vittima, e questo lo ha reso un modello da studiare e replicare negli altri paesi. Anche la Convenzione di Varsavia del 2005, del Consiglio d’Europa, ha mutuato questo approccio più ‘umanitario’ che ‘punitivo’. Inoltre, a livello nazionale, molte politiche rivolte a persone che provengono da altri paesi (la protezione internazionale, con le Linee Guida sull’identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti asilo) o gli interventi del ministero del Lavoro contro lo sfruttamento e il caporalato, sono state ispirate fortemente dalle pratiche del sistema antitratta”.
Ma perché oggi, nel 2024, perché è fondamentale ricordare la genesi del nostro sistema antitratta e le sue correlazioni con altri sistemi di prevenzione, intervento e protezione sociale? “Perché il fenomeno della tratta è sempre più correlato alle migrazioni da tutti i paesi del mondo e alle tante debolezze e vulnerabilità di cui sono portatori i migranti – precisa Fabio Sorgoni -. Il muro sempre più alto della ‘fortezza Europa’, sancito dal nuovo piano europeo asilo e migrazioni, renderà più difficile ottenere l’asilo e individuare le vittime di tratta, lasciando decine di migliaia di persone nell’illegalità. Il nostro paese, con l’esternalizzazione in Albania delle procedure di controllo delle richieste di Asilo, ha già segnato la via di politiche di deportazione”.
Sul fronte dell’occupazione dei migranti, continua il responsabile di On the Road, “è evidente come il sistema dello sfruttamento del lavoro in molte filiere di produzione e di servizi, si alimenti in forza della debolezza di molte persone che devono pagare somme altissime per debiti contratti con gli usurai nei paesi di origine per arrivare in Italia e ai caporali per lavorare. In agricoltura i dati parlano di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri (ma anche italiani) sfruttati, e molti di loro sono vittime di tratta. La scorsa estate la morte di Satnam Singh, lavoratore indiano sfruttato nelle campagne laziali, ha per qualche giorno acceso i riflettori su questo fenomeno. Nell’edilizia, il boom dovuto al 110% ha coinvolto molte di queste persone. Basta vedere chi sono le vittime degli incidenti sul lavoro (ad esempio nel crollo del supermercato Esselunga a Firenze) per capire come il sistema poco trasparente dei subappalti alla fine favorisce lo sfruttamento di questi lavoratori. Altro fattore della difficoltà nel rispondere a questi fenomeni adeguatamente è il progressivo depauperamento dei sistemi di welfare, sociale, sanitario, abitativo. I migranti, come del resto anche gli italiani delle classi più povere, hanno difficoltà ad accedere a questi servizi, a trovare una casa pur avendo un lavoro (perché discriminati), e quindi ad emanciparsi da situazioni in cui l’unico che può offrire una casa è il caporale che ti trova il lavoro (sfruttato) prendendosi buona parte dei già risicati guadagni”.
Quindi, in questa XVIII Giornata Europea contro la Tratta, per Sorgoni “è importante sottolineare come la situazione di schiavitù, asservimento, grave sfruttamento che vivono decine di migliaia di persone in Italia non dipende solo dai trafficanti o dai caporali, ma è fortemente legata ad un insieme di fattori strutturali di cui bisogna tener conto se vogliamo che in futuro questi fenomeni vengano superati. L’Italia – conclude -, a prescindere dai corsi e ricorsi politici, è stata tra i pionieri di un approccio che ha messo al centro la persona, e non il crimine. E abbiamo ancora, soprattutto nella società civile e nel terzo settore che ne è parte, delle grandi risorse da mettere in campo. I cittadini italiani devono capire che serve a poco essere toccati da storie particolarmente truci e indignarsi con i colpevoli specifici, se poi non ci si impegna culturalmente e politicamente per superare una visione dell’immigrazione come fenomeno che genera problemi, se poi non si lavora per promuovere una cultura dei diritti e della legalità”.